Il Burnley ai piani alti della classifica non è soltanto un caso

Sono passati soltanto diciannove mesi da quando il Leicester di Ranieri riscriveva la storia della Premier League e forse del calcio vincendo un incredibile titolo di fronte alle big, azzoppatesi a vicenda e non in grado di trovare continuità. Soltanto una squadra tra le mestieranti della massima divisione anglosassone sembra aver imparato al meglio la lezione impartita a tutto il calcio inglese dalle Foxes. Una lezione basata sulla solidità difensiva, sui movimenti corretti e sulla funzionalità degli interpreti, tutte caratteristiche riscontrabili nel Burnley di Sean Dyche. I Clarets sono infatti in piena zona Europa e da settimane stanno concorrendo con grandi club come Arsenal, Tottenham, Liverpool e Chelsea.

Pensare a un momento di straordinaria forma fisica e una serie di coincidenze favorevoli è tanto immediato quanto sbagliato. Lo dicono in primi i numeri. L’intrusa tra le top six di Premier League ha collezionato 31 punti in 17 partite e vanta la terza miglior difesa del campionato con soli 12 gol subiti, dietro alle due di Manchester che ne hanno incassati solo 11. Otto sono i clean sheet portati a casa, dato che spiega meglio di ogni altro perché nonostante il misero bottino di 16 gol all’attivo siano arrivate nove vittorie per una percentuale oltre il 50%, un dato stratosferico vista la complessità del campionato e il valore generale della rosa (Transfermarkt la stima a 91,50 milioni di Euro, davanti soltanto all’Huddersfield).

Sebbene più di alcune similitudini siano forti, il Burnley non può in alcun modo essere e non sarà mai un nuovo Leicester, non solo perché il Manchester City ha già ammazzato il campionato a dicembre ma anche perché non ha giocatori estrosi in grado di risolvere le partite più difficili come è stato Mahrez per Ranieri. Allo stesso modo mancherebbe anche un fuoriclasse alla Kanté per rendere la presunta copia sempre più simile all’originale. Queste lacune (se tali possono essere definite) rappresentano però altri due motivi per cui la tela pazientemente cucita da Dyche è merce rarissima.

The Ginger Mourinho – così viene denominato il 46enne inglese nativo di Kettering – siede sulla panchina dei Clarets dal 2012, quando la squadra militava in Championship. Nei primi tre anni ha ottenuto una promozione, poi retrocessione immediata e un’altra promozione altrettanto immediata, prima di raggiungere la sua prima salvezza nello scorso campionato, in maniera peraltro tranquillissima. Nei suoi cinque anni Dyche ha sempre impostato il suo Burnley in maniera chiarissima: difesa a quattro, due ali di spiccate doti atletiche e una o due punte, spesso a seconda dell’avversario e del tipo di partita da impostare. Attenzione maniacale alla fase difensiva, lasciando la parte di possesso a ripartenze veloci, ribaltamenti di fronte e fisicità di un centravanti in grado di giocare da vera e propria boa.

I meriti di Dyche raddoppiano se il discorso si allarga anche alla costruzione della squadra nelle scorse sessioni di mercato. Ogni nuovo innesto si è da subito sposato alla perfezione con la filosofia di gioco del Burnley ed ha superato a pieni voti il test in campo, ottimizzando anzi il proprio rendimento all’interno di un sistema che ne esalta le caratteristiche tattiche e d’ordine.

L’assonanza con quanto costruito da Ranieri con il suo Leicester è forte, soprattutto dal punto di vista tattico. In una Premier League dove gli allenatori pensano in primis ad attaccare e poi a dare solidità alle squadre, le poche mosche bianche che attuano il ragionamento inverso tendono a riuscire a volare più in alto di tutte. Ecco perché il Burnley veleggia nelle zone nobili della classifica. Finora i Clarets hanno rimediato quattro sconfitte, contro Arsenal, Manchester City, Leicester e West Bromwich. Se per le prime due ha prevalso la maggiore caratura delle avversarie – oltre a un pizzico di fortuna – le altre due sconfitte sono arrivate contro squadre tremendamente simili (i Baggies erano ancora guidati da Pulis) e possono essere spiegate dal maggior tasso tecnico a disposizione rispetto al Burnley.

La fondamentale matrice british della rosa, che conta soltanto 14 stranieri di cui solo quattro provengono da scuole calcistiche esterne a quella britannica, è la colonna portante di una squadra che al momento ha solo prospettive positive di fronte a sé, ma è ora chiamata al test più difficile. Un conto è essere la sorpresa, un altro è confermare lo status acquisito. Se al termine del girone d’andata il Burnley sarà ancora in zona Europa si alzeranno anche le aspettative. Dyche dovrà gestire una maggiore pressione intorno all’ambiente, ma Ginger Mou oltre allo stile ha in comune con il portoghese anche l’elevata ambizione. Ha rifiutato anche il corteggiamento dell’Everton per rimanere al Turf Moor, dove ha iniziato un lavoro che non vede l’ora di portare a termine, nella miglior maniera possibile.

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