Norvegia, le cause di un declino

Quando pensiamo allo sport in Norvegia non possiamo esimerci dall’associare la Terra del Sole di Mezzanotte agli sport invernali quali discesa, fondo e salto con gli sci. Non molti sanno però che oltre centomila persone (su un totale di cinque milioni) ogni anno “salpano” con direzione Inghilterra per assistere alle partite della Premier League. L’appeal del campionato nazionale, la Eliteserien, non è dei più graditi ma i numeri delle ultime stagioni in quanto a medie spettatori sta iniziando piano piano a salire. Il merito va sicuramente dato alla federazione che è riuscita a sancire un accordo con le emittenti televisive, ora in grado di mostrare moltissime partite, anche le meno accattivanti, ogni weekend. Un capitolo a parte va aperto in merito alla nazionale di calcio norvegese. Un capitolo cupo e contorto che al momento attuale la vede sprofondare ai minimi storici del Ranking FIFA. Facciamo ordine e cerchiamo di dare una spiegazione a questa crisi.

I “DRILLOS” TERRORIZZANO IL MONDO INTERO
Sembrano passati secoli, neanche parlassimo delle incursioni vichinghe del ‘900 Dopo Cristo. Eppur appaiono lontanissimi i tempi in cui la Norvegia calcistica faceva paura a chiunque. Negli anni ’90 del secolo scorso un tale Egil Olsen approdava sulla panchina della nazionale maggiore dopo una breve parentesi con l’Under-23. Olsen, detto “Drillo”, importò un modo di giocare il calcio del tutto nuovo a quelle latitudini: marcatura a zona e palloni subito in verticale a cercare la profondità. Negli anni a venire creò un sistema di gioco fluido e mnemonico, tanto semplice da sembrare naturale. Nel 1994 portò la Norvegia ai Mondiali statunitensi dove venne eliminata nel girone per minor numero di reti realizzate rispetto a Messico, Irlanda e Italia (tutte le squadre terminarono a quattro punti). Il lavoro proseguì ma la sfortuna si rifece viva due anni dopo quando i rossoblu furono sbattuti fuori da Euro 96 a causa della peggiore differenza gol rispetto all’Olanda nel girone di qualificazione. Intanto talenti come Harald Brattbak, Henning Berg e Ståle Solbakken proseguivano nell’opera di consacrazione in attesa di ricevere nuova linfa dalla crescita di Tore André Flo e Ole Gunnar Solskjær. Il mondiale di Francia 98 regalò alla Norvegia il picco più alto di sempre. Storica la vittoria per 2 a 1 ai danni del Brasile di Dunga, Ronaldo e Bebeto. Agli ottavi di finale in quel di Marsiglia, il cammino dei Drillos (così ribattezzati dalla carta stampata) si fermerà contro l’Italia e il destro in contropiede di Christian Vieri. Ad Euro 2000, con Olsen non più commissario tecnico, ancora una volta la iattura calò come il martello di Thor sulla nazionale norvegese, costretta ad abbandonare la manifestazione anzitempo causa sonfitta nello scontro diretto con la Yugoslavia. La moltitudine di vittorie prestigiose di queste annate, tra le quali ricordiamo anche quelle contro Spagna e Inghilterra oltre alle già citate, portò la Norvegia  all’impressionante secondo posto nella graduatoria FIFA (settembre 1993). Da lì un lento declino che la prossima estate porterà i tifosi dei Drillos a mantenere chiusi i bauli dei tifosi norvegesi, ricchi di sciarpe, corni e copricapi vichinghi, per il diciottesimo anno consecutivo.

LA CURA HOGMØ
Nonostante il pessimismo aleggiante, nel 2013 tutto sembrava desinato a cambiare. La Norges Fotballforbund presentò Per-Mathias Hogmø come nuovo CT. Sconosciuto ai più (ma anche ai molti) il 56enne di Tromsø convinse della sua investitura i piani alti professando un metodo di gioco che avrebbe risollevato le sorti calcistiche dell’intera nazione. Di lì a poco la Norvegia capì a proprie spese che Hogmø, più che un pratico allenatore di calcio, assomigliava ad un druido “malato” di mental training e di tattiche inverosimili. Le sue parole durante la presentazione ufficiale fecero scalpore: “Vedrete qualcosa che non avete mai visto prima. Attaccheremo come il Manchester City e difenderemo come l’Atletico Madrid!“. A malincuore bisogna ammettere che il risultato più prossimo alle sue parole è stato difendere come il Manchester City. A discapito di Hogmø c’è una rosa non all’altezza dei fasti che furono: un calderone di giovani talenti, discontinui, spesso e volentieri con poca autostima e continuità, che non ha reso possibile il miracolo preannunciato dal commissario tecnico. Lo scempio del totale fallimento va condiviso da Hogmø con la federazione (in questo frangente, a mio avviso, la vera responsabile) che ha sbagliato a concedergli un regno fin troppo lungo terminato il 16 novembre scorso dopo la sconfitta in Repubblica Ceca.

UNO SVEDESE SUL TRONO DI NORVEGIA
Recuperare la credibilità persa era oramai parecchio difficile. Per il dopo Hogmø la Norges Fotballforbund ha avuto davvero poche alternative sulle quali puntare. Fra queste la più concreta sembrava Ståle Solbakken, ex gloria degli anni d’oro dei Drillos e attuale allenatore dell’FC Copenhagen. La risposta dalla Danimarca arrivò con un secco “no” e ai dirigenti federali non è restato altro che puntare ad oriente. Ma non così ad oriente come potreste intendere. In Svezia si narra di un allenatore che ha portato una piccola realtà come l’Islanda a rivaleggiare con le grandi durante i campionati europei di Francia 2016. Quest’uomo, che no, non banchetta con gli dei nelle sfarzose sale di Asgard, porta il nome di Lars Lagerbäck. Nonostante abbia ripetuto spesso dopo gli europei “sono troppo vecchio per una nuova avventura” il tecnico classe 1948 viene presentato all’Ullevaal Stadion di Oslo lo scorso primo febbraio. Dotato sicuramente di meno carisma rispetto al predecessore, Lagerbäck porta sulla panchina norvegese l’esperienza e la reputazione che solo un grande allenatore conosce. D’altronde ha il coraggio di punire Ibrahimovic per un ritardo al rientro in hotel durante il ritiro della nazionale svedese. Non è affatto cosa da tutti. La sua idea di gioco è molto semplice: difesa a zona con i terzini che stringono molto in fase di non possesso, giocate d’attacco poco rischiose e verticalizzazione sistematica verso il centro. Guarda caso situazioni tecnico-tattiche simili a quelle di “Drillo” Olsen. Il tempo a disposizione di Lagerbäck per catalizzare il proprio credo è stato ancora poco e la sconfitta a Belfast contro l’Irlanda del Nord, l’ennesima in un girone di qualificazione al mondiale di Russia 2018 ormai compromesso, non può essere di certo a lui imputata.

CROLLO VERTICALE E NOMI PER IL FUTURO
Non c’è da stupirsi se la classifica FIFA è un autentico abominio. Mai come oggi la Norvegia è stata così in basso. Nell’ultimo aggiornamento ufficiale i Drillos perdono cinque posizioni e si piazzano all’86esimo posto, dietro a nazionali quali Siria, Cina e Far Øer. Lo scenario sembra destinato a non migliorare nel prossimo futuro ma le potenzialità per rialzare la testa ci sono e vanno sfruttate. Come spesso accade nei campionati del Nord Europa le truppe di giovani talenti non mancano. Non fa eccezione la Norvegia che può vantare una nutrita schiera di ragazzini che potrà dire la sua negli anni a venire. Per citarne alcuni: Martin Ødegaard, classe 1998, già da alcuni anni nel Real Madrid Castilla e ora in prestito in Olanda all’Heerenveen; Sander Svendsen, attaccante del Molde classe 1997; i due mediani ’96 Morten Thorsby e Iver Fossum; Kristoffer Ajer, classe 1998, in prestito al Kilmarnock dal Celtic Glasgow; Erling Braut Haland, non ancora diciassettenne, anche lui, come Svendsen, centravanti del Molde. Molto presto questi talenti si aggiungeranno alla nazionale maggiore che può già contare su Sander Berge, Joshua King, Harvard Nordtveit, Omar Elabdellaoui e Jonas Svensson. Bisogna solo aspettare, dare il tempo a Lagerbäck per lavorare e non avere fretta di ricercare con troppa foga la risalita. D’altronde risulta piuttosto difficile pensare che si possa scendere più in basso di così.

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