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Curtis Edwards, lo sceriffo e il cantiere

«Quando sono arrivato nel club, uno dei tifosi ha digitato il mio nome su Google. Il primo risultato fu un fotografo americano di nome Edward Sheriff Curtis, c’era una foto di lui con barba e cappello, così hanno montato la mia faccia su quella, in una grande bandiera, e hanno iniziato a chiamarmi “lo sceriffo”». The Sheriff è Curtis Garry Edwards, 25enne centrocampista oggi all’Östersunds FK, ma fino a poco tempo fa in pochissimi lo conoscevano come calciatore. Curtis incarnava il prototipo di adolescente inglese estremamente viziato, dedito alla frequentazione di locali notturni, circondato da ragazze e solito rincasare alle ore piccole. Giocava a calcio, uscito dall’academy del Middlesbrough, ma si perse per strada e così oggi fa effetto vederlo nel Norrland, ovvero la parte meno glamour della Svezia: «Col senno del poi, non so se ho dato il massimo a Darlington e Spennymoor (due esperienze nelle basse leghe inglesi, ndr). Uscivo molto coi miei amici prima delle partite, tornavo all’alba e andavo direttamente allo stadio. A 20 anni ho cominciato a lavorare nei cantieri di mio padre, ma faceva troppo freddo. Una volta stavamo lavorando a Londra e iniziammo alle 7 del mattino, ricordo di aver guardato me stesso e di aver detto “Cosa sto facendo? Qual è il mio obiettivo?”, così scelsi di ritentar la fortuna nel mondo del calcio».

La vita di Curtis è restata circoscritta al Boro dai 12 ai 19 anni. Ai tempi Edwards era considerato un giovane talentuoso, ma uno degli allenatori del club un giorno incontrò suo padre, Paul e disse che suo figlio avrebbe avuto due possibilità: giocare in Premier League o giocare nella Northern Premier League. Finì maluccio e così, nel 2013, il contratto di Edwards col Middlesbrough terminò e l’inglese dovette cercarsi una nuova squadra. Finì nella Non League al Darlington, l’anno dopo passò al Thornaby, nel decimo livello del calcio inglese, ma solo perché era il club allenato dal padre Paul e in squadra aveva pure il fratello di Curtis, Kieran. Nel 2014 il prestito allo Spennymoor Town, dunque il rientro a Thornaby: «Stavo giocando solo per mio padre, non mi interessava più il calcio – avrebbe raccontato Edwards, affranto e avvilito – quando ricevetti una chiamata da uno che conosceva mio padre. Era un ragazzo di Middlesbrough». In realtà era un messaggio su Facebook di un suo amico, il quale introdusse Curtis a Brian Wake, che in Svezia allenava l’Ytterhogdal, un club di quinta serie. Si parlò presto di un possibile trasferimento e la mossa avrebbe pagato: Edwards accettò e, dopo il 2015/16 trascorso nuovamente a Thornaby, fece ritorno in Scandinavia nel gennaio 2016, dove stavolta stupì tutti. In estate sarebbe approdato all’Östersunds FK.

E pensare che nel 2014, parallelamente alla sua esperienza allo Spennymoor Town, cominciò a lavorare nei cantieri di famiglia a Thornaby per guadagnarsi da vivere: «Sono stato lì con mio padre per circa otto o nove mesi, l’ho sempre visto come un qualcosa a breve termine, si trattava solo di avere soldi in tasca per uscire coi miei amici il fine settimana. Fu così per anni. Lavorando tutta la settimana, non vedevo l’ora che finisse il weekend per giocare a calcio coi miei amici. Il mio stile di vita non era quello che sarebbe dovuto essere, mi distraevo». Oggi la famiglia di Curtis segue tutte le partite del figlio su internet, si tengono in contatto e sono orgogliosi per il suo successo. Fino allo scorso anno però mancava qualcosa: «Pensano che io stia bene, spesso mi mandano messaggi, spero che papà riesca a trovare un po’ di tempo per venirmi a vedere, sarebbe bello per lui».

L’occasione avvenne nel febbraio 2018, col doppio confronto tra Östersunds FK e Arsenal, quando Curtis ha fatto ritorno in Inghilterra, da vincitore. Per lo Sceriffo si è trattato di una grande gioia, ma questa volta con più saggezza: «Questo momento devo solo godermelo, sai, perché il calcio va bene a volte e può cambiare così velocemente. È incredibile». Come quando aveva 21 anni: «Iniziai a pensare “oh shit, lo farò per i prossimi 50 anni?”. Ho capito che mi sarebbe piaciuto sistemarmi, sono stato fortunato ad aver avuto una seconda opportunità. Nella mia testa pensavo di essere bravo, quindi non avevo bisogno di dare il 100%. Era immaturità». La seconda chance si chiamava Östersunds FK, e s’era palesata a soli tre anni da quando Edwards giocava in Non League.

Matteo Albanese

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