
Luciano Spalletti Immagine | Ansa
Italia – Moldova 2-0, una sfida azzurro sbiadito, colore che ha caratterizzato l’era di Luciano Spalletti alla guida della nazionale. Ventiquattro partite in altrettanti mesi: 12 vittorie, 6 pareggi e sei sconfitte. Una, quella di Oslo, decisiva per compromettere il cammino verso il Mondiale e il proseguo della sua esperienza alla guida della nazionale.
Un problema di qualità e atteggiamento
Alla fine di questo ciclo è lecito chiedersi cosa e perché non è andato per il verso giusto. In primis, la qualità media, tecnica e caratteriale, dei giocatori che hanno spesso sbagliato approccio ala partita e atteggiamento nel gestirla. L’ex commissario tecnico ci ha messo del suo rinnegando il 4-3-3 che lo aveva portato a dominare il campionato con il Napoli per sposare l’idea della difesa a tre nel tentativo di valorizzare il materiale umano, ovvero chili e centimetri dell’Inter che forma l’ossatura della Nazionale. Spalletti più sull’onda della critica che per convinzione sceglie il 3-5-2 sacrificando, così, il proprio calcio: giocare con uomini in grado di saltare l’uomo, esterni che attaccano la profondità, occupazione degli spazi con tanti uomini al di là del portatore di palla in modo da avere più soluzioni possibile.
Un cammino balbettante
Risultato: una confusione generale e la sensazione di non avere un percorso tracciato e da seguire. Il cammino balbettante ne è la conferma. Spalletti centra a fatica la qualificazione all’Europeo dove gli azzurri sono l’ombra della squadra ammirata qualche anno prima. Vittoria in rimonta contro l’Albania, ko con la Spagna e un mezzo miracolo con la Croazia permettono il passaggio del turno, ma con la Svizzera, fra le polemiche legate a spie e telefonate più o meno amiche (primo segnale di un disagio) porta Spalletti a tornare alla linea a quattro incassando una sconfitta senza appello che chiude anzitempo il percorso di difesa del titolo europeo. La sensazione, netta, è che la squadra non lo abbia seguito. L’esperienza sembra al capolinea ma si sceglie la prova d’appello. Il CT è confermato a denti stretti e con poca convinzione.
Spalletti l’uomo giusto al posto sbagliato
Lo stesso Spalletti non riesce ad ammettere a sé stesso che il ruolo di selezionatore non è nelle sue corde, anche dal punto di vista comunicativo. Spalletti ha sempre avuto bisogno del contatto quotidiano con il campo e i calciatori per trovare, come sempre gli è accaduto in carriera, l’idea che ha cambiato volto di squadre e carriere dei singoli. Una Nations League giocata a buon livello restituisce fiducia all’ambiente, ma lo 0-3 maturato in Norvegia sentenzia definitivamente un tentativo di rivoluzione impossibile da attuare per evidenti impossibilità di farla. Riassumendo: Spalletti è l’allenatore giusto per cavare il massimo da calciatori non eccezionali, ma è al posto sbagliato se non può allenarli tutti i giorni.