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Contro il Barcellona, l’ultima occasione per salvare una stagione che da leggenda rischia di trasformarsi in naufragio
Domani sera a Barcellona, ma non al Camp Nou — ancora in ristrutturazione — bensì al freddo e impersonale Stadio Olimpico Lluís Companys, l’Inter si gioca la stagione. O forse molto di più.
Non c’è più la Coppa Italia. Non c’è più il primato in campionato.
C’è solo questa semifinale di Champions League, contro un Barcellona che arriva carico a molla dopo aver vinto la Copa del Rey.
Un Barcellona che sembra inarrestabile.
Eppure, in fondo, la storia è fatta di serate come questa. Di notti dove i giganti inciampano, dove i titani tremano.
Ieri in Spagna e Portogallo c’è stato un blackout gigantesco, che ha paralizzato mezza penisola iberica. E io, scaramantico come ogni interista che si rispetti, spero che quel blackout sia solo l’antipasto.
Che domani sera si spengano anche le luci del Barça.
La grandezza non si misura nei giorni facili
Sento tanta paura attorno a questa sfida. Leggo previsioni nere, vedo pronostici avvelenati.
E va bene così.
Perché l’Inter, quella vera, non ha mai avuto bisogno di favori.
Non siamo figli della protezione.
Siamo figli della lotta.
Inzaghi lo sa. Sa che domani sera si gioca più della faccia.
E io, che ho difeso il suo progetto anche nei momenti più fragili, ora gli chiedo una sola cosa: coraggio.
Niente calcoli. Niente pareggini da amministrare.
Si entra in campo per aggredire. Per azzannare. Per scrivere.
Se il Barcellona vorrà andare a Wembley, dovrà passare sul nostro sudore.
E sul nostro orgoglio.
Uno stadio che non fa paura. Ma può essere nostro
Sarà uno stadio diverso dal solito. Il Lluís Companys non è il Camp Nou. Non ha la storia, non ha il peso, non ha il misticismo.
È un terreno neutro travestito da casa.
E questo, per chi come noi sa trasformare l’ostilità in energia, è un vantaggio.
San Siro ci mancherà, certo.
Ma la mentalità dev’essere la stessa: entrare in campo con il sangue negli occhi.
Giocare come se fossimo noi i padroni. Come se l’eredità di chi ha fatto grande l’Inter ci stesse guardando da sopra le nuvole.
Domani non conta il terreno. Conta chi ha il coraggio di lasciarci sopra l’anima.
Tutto in una notte
Domani non si gioca una semifinale normale.
Domani si decide se questa Inter sarà ricordata come una meteora o come una leggenda.
“Non si vince perché si è i più forti. Si vince perché si è disposti a morire un centimetro alla volta,” diceva Al Pacino in Ogni maledetta domenica.
Domani sera, quel centimetro sarà la nostra vita.
E io, orchestra testarda di un Titanic che ancora sogna l’oceano, suonerò ogni nota.
Se cadiamo, cadiamo combattendo.
Se vinciamo, sarà la vittoria più nostra di tutte.
Che si spengano le luci, allora.
Ma non le nostre.