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Il crollo del Wolfsburg, dalla Champions alla zona salvezza

Dai fasti dell’Europa e dei piani alti della Bundesliga all’incubo retrocessione – soltanto accarezzato – e ai bassifondi della classifica. Il tutto nel giro di tre intensi anni fatti di acquisti, cessioni, addii, cambi in panchina. Il Wolfsburg che inseguiva Guardiola e il suo Bayern tra il 2014 e il 2015 è diventato una squadra che lotta per salvarsi, stabile nella parte destra della classifica. La spaventosa involuzione si è sviluppata rapidamente e ha ridimensionato i Lupi, storicamente discontinui, ma arrivati nel 2017 al punto più basso della propria storia recente: il playout per evitare la retrocessione in 2.Bundesliga del maggio scorso. La scorsa stagione, chiusa al terzultimo posto, è stata la peggiore dalla promozione del 1997. Tre cambi in panchina, una chimica di squadra mai trovata e un rendimento in picchiata. Le cause sono da ricercare soprattutto nella costruzione della rosa.

Il Wolfsburg, le star e i trascinatori

Nell’ultimo decennio alla Volkswagen Arena c’è sempre stato un uomo simbolo, un trascinatore, un giocatore di caratura superiore alla media. Nell’ordine questo ruolo è spettato a elementi del calibro di Dzeko, Mandzukic, De Bruyne e Draxler. Se il bosniaco è ancora oggi considerato un’icona – il titolo del 2009 vuole la sua parte – e il croato ci va molto vicino, gli altri due sono stati talenti che hanno lasciato dolci ricordi di campo, soprattutto il belga. Draxler potrebbe però essere anche visto come un responsabile del crollo.

L’ex Schalke ha trascorso in Sassonia un anno e mezzo, esattamente quanto De Bruyne. Quest’ultimo è arrivato come scarto del Chelsea nel gennaio 2014 ed è stato ceduto nel 2015 per la cifra record di 74 milioni di Euro al Manchester City. Il belga nel suo anno e mezzo ha firmato vari miracoli, soprattutto il secondo posto della stagione 2014/15 alle spalle del Bayern di Guardiola, con annessa vittoria in casa per 4-1 che sembrava inaugurare una corsa a due verso il titolo, illusione durata soltanto una decina di partite.

Quel Wolfsburg era una macchina quasi perfetta, completa in ogni reparto. Tra gli elementi con almeno 2000 minuti giocati in quella stagione sono ancora in quattro a far parte della rosa dei Lupi: Jung, Arnold, Guilavogui e Knoche. Trattenere i talenti più limpidi è stato impossibile, nonostante alcuni siano drasticamente calati dopo la cessione. Uno su tutti Julian Draxler.

Il caos Draxler e le conseguenze disastrose

L’arrivo estivo di Draxler nel 2015 sembrava poter essere il tratto di continuità rispetto alla stagione precedente. L’ex Schalke era il leader tecnico della squadra, la quale non sembrava più brillante come l’anno prima ma comunque in grado di stare ad alti livelli. Trascinata dal tedesco sfiorò l’impresa contro il Real Madrid ai quarti di finale di Champions League: 2-0 all’andata in casa. Soltanto una tripletta del solito Cristiano Ronaldo al ritorno riportò coi piedi per terra i tedeschi. L’estate successiva portò però burrasca, con Draxler ai margini della rosa e un braccio di ferro risoltosi con una cessione a gennaio al Psg.

Ai capricci del talento classe 1993 sono seguite le cessioni di Schürrle, Dost, Naldo e Caligiuri (a gennaio), alcuni dei protagonisti della cavalcata dell’anno precedente. Hecking, che era saldamente sulla panchina del Wolfsburg dal 2012, si è trovato in mano una rosa completamente rivoluzionata da ricostruire dalle fondamenta. La dirigenza ha puntato su un progetto giovane, affiancando diversi giocatori in rampa di lancio a veterani come Mario Gomez e Blaszczykowski. Il risultato è stato fallimentare: Hecking è stato esonerato a ottobre, sostituito da Ismaël. Altra scelta disastrosa, data l’inesperienza dell’ex difensore in panchina.

Il corso di Schmidt: come ripartire?

La salvezza dopo un playout sofferto, con Jonker alla guida, ha convinto la società a muovere un ulteriore step verso la rifondazione con la cessione di Mario Gomez. Il nuovo corso guidato da Schmidt ha faticato a decollare con l’ex Stoccarda e Fiorentina, ma al momento il ruolo di centravanti non ha un padrone. Non una scelta particolarmente logica per il sesto peggior attacco dell’intera Bundesliga. La squadra offre a tratti segnali positivi, ma anche l’impressione di non poter raggiungere il salto di qualità. Sa non perdere le partite, ma non le sa vincere.

Gli undici pareggi fin qui raccolti (in 18 partite) testimoniano esattamente questo limite, dettato probabilmente dalla mancanza di un elemento di classe superiore alla media. Difficile pensare di rimediare a gennaio, più facile potrebbe essere in estate. Sarebbe un ritorno sui propri passi, ma allo stesso tempo anche un gradino da salire, il primo, per tornare ai piani alti della Bundesliga.

Giorgio Dusi

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