Verso il Brasileirão 2020: la guida completa

Sabato 8 agosto dovrebbe iniziare il Brasileirão 2020, ma non sarà un campionato normale: la pandemia in Brasile non accenna a placarsi e molti sono contrari alla ripresa delle attività sportive. Inoltre, visto cheil calendario stabilito dalla federazione preveda di spingersi fino a Carnevale (mentre di solito la stagione termina a dicembre), si giocherà praticamente ogni tre giorni tra campionato, coppa nazionale e tornei internazionali.

Nei prossimi giorni analizzeremo le 20 squadre partecipanti, una al giorno, partendo dalle neopromosse per poi risalire la classifica dello scorso anno, fino al fortissimo Flamengo.

Se, grazie a un serbatoio inesauribile di talento, la Seleção è sempre tra le favorite in ogni competizione cui partecipa, basta dare un’occhiata alle convocazioni per rendersi conto che non è il campionato locale a goderne.

Nella rosa che ha vinto la Copa América 2019, l’unico dei tre giocatori provenienti dal Brasileirão a rivestire un ruolo importante è stato Éverton, che ha giocato al posto dell’infortunato Neymar; gli altri due erano il terzo portiere Cássio e il terzino di riserva Fágner, uomini di fiducia del CT Tite dai tempi del Corinthians che però non hanno messo piede in campo.

La crisi economica che sta investendo il Paese non ha risparmiato il calcio, e la pandemia in corso rischia di devastare un settore già in difficoltà. Sono in molti a invocare una ristrutturazione profonda del sistema-calcio brasiliano, a partire dagli storici campionati statali che, anche a causa delle crescenti differenze economiche tra i club, non sono più in grado di riscuotere l’interesse di un tempo, relegati di fatto a poco più che tornei amichevoli pre-stagionali. Se come si dice dalle grandi crisi nascono grandi opportunità, questo sarebbe un momento opportuno per intraprendere dei cambiamenti.

IL GRANDE ASSENTE DEL BRASILEIRÃO

A proposito di cambiamenti, per la prima volta dal 1965 (quando il formato era ancora basato su lunghe fasi preliminari con divisioni regionali) il Cruzeiro non disputerà la Série A.

Per una squadra partita con ambizioni di vittoria, nel finale di stagione si è consumato un dramma sportivo dai numeri spaventosi – 3 vittorie nelle ultime 21 partite, un solo gol segnato nelle ultime 8 con 5 sconfitte nelle ultime 5 – e anche il quinto posto provvisorio nel Campeonato Mineiro in corso (dopo 9 partite) non è incoraggiante, ma fuori dal campo la situazione è, se possibile, ancora peggiore.

Una gestione finanziaria scellerata ha rapidamente accumulato un debito complessivo di oltre 800 milioni di reais (circa 150 milioni di euro), di cui la metà nel solo 2019, il valore più alto mai registrato nella storia del calcio brasiliano.

A ciò si aggiunge il crollo dei diritti TV percepiti a causa della retrocessione, mentre negli ultimi mesi la rosa è stata rivoluzionata dalle rescissioni dei giocatori con ingaggi fuori mercato per la categoria, come Fred (tornato al Fluminense) e Thiago Neves (al Grêmio).

La squadra peraltro dovrà iniziare la Série B con 6 punti di penalizzazione, ma perlomeno si può sperare che in queste condizioni venga dato il tempo al tecnico Enderson Moreira di lavorare con calma cercando, come ha annunciato, di valorizzare i giocatori del vivaio; i gol dovrebbero arrivare dal grande ritorno di Marcelo Moreno, centravanti boliviano alla sua terza esperienza con il club, dopo 5 anni in Cina.

NON È UN PAESE PER ALLENATORI

La mancanza di programmazione si ripercuote inevitabilmente sugli allenatori, che molto raramente hanno il tempo di elaborare un progetto tecnico di medio-lungo termine.

Nel Brasileirão 2019 ci sono stati 26 cambi di allenatore, nuovo record; su 20 squadre soltanto Jorge Sampaoli (Santos), Renato Portaluppi (Grêmio) e Roger Machado (Bahia) sono rimasti in sella per 38 giornate.
Per fare un paragone: nella scorsa stagione in Serie A e Liga ce ne sono stati 11, in Premier League 6, in Bundesliga 7, in Ligue 1 10.

Tra le situazioni-limite il Cruzeiro ne ha cambiati 4, tra cui l’ex portiere Rogério Ceni, che si è dimesso dal Fortaleza dopo la 13ª giornata, ha guidato il Cruzeiro per 7 partite dopodiché è stato cacciato e ha fatto immediatamente ritorno al Fortaleza, peraltro chiudendo la stagione con un ottimo nono posto.

A tre giornate dal termine la situazione ha oltrepassato la soglia del ridicolo, con un assurdo giro di allenatori tra tre squadre in piena lotta per la salvezza: il Ceará ha ingaggiato Adílson Batista dal CSA di Maceió, licenziando Argel Fucks che a sua volta è stato reclutato dal disperato Cruzeiro.

Per evitare situazioni del genere, che finiscono per danneggiare la credibilità del campionato, si potrebbe iniziare a uniformare la situazione contrattuale degli allenatori a quella dei maggiori campionati europei, dal momento che in Brasile i club possono rescindere unilateralmente il rapporto senza dover continuare a pagare lo stipendio fino al termine prestabilito.

PIAZZAMENTI E COPPE

L’anno scorso solo Botafogo e Ceará hanno chiuso senza qualificarsi per alcun torneo continentale e senza retrocedere.
All’allargamento dei posti disponibili in partenza – 7 per la Libertadores e 6 per la Sudamericana – si è aggiunto il trionfo del Flamengo nella prima, che gli ha garantito la qualificazione automatica generando un posto in più per le squadre brasiliane.

Di queste però 6 sono dovute passare per i preliminari, dove il bilancio è stato molto negativo: in Libertadores l’Internacional si è qualificato mentre il Corinthians è stato eliminato al primo turno dai paraguayani del Guarani; in Sudamericana è andata ancora peggio, visto che solo 2 squadre su 6 – Vasco e Bahia – si sono qualificate, mentre Fortaleza, Fluminense, Goiás e Atlético Mineiro si sono fermate al primo ostacolo.

PROSPETTIVE

Se i risultati in ambito internazionale sono una buona cartina al tornasole del livello dei campionati, ci sono motivi per preoccuparsi e le ragioni sono molteplici.

Prima di tutto i calciatori brasiliani emigrano sempre più giovani: senza guardare troppo indietro, a inizio secolo i migliori talenti – Ronaldinho, Kaká, Robinho, Neymar – rimanevano spesso in patria fino a 21-22 anni, mentre ormai sempre più di frequente si trasferiscono in Europa appena maggiorenni (solo perché la regolamentazione internazionale impedisce di prenderli prima, ma spesso vengono già prenotati).
I casi più eclatanti sono Vinícius Jr., Rodrygo e Reinier – forse rispettivamente i migliori classe 2000, 2001 e 2002 -, acquistati dal Real Madrid per somme impossibili da rifiutare per qualsiasi club sudamericano dopo aver disputato una sola stagione da titolari nei primi due casi, solo una manciata di partite nel terzo.

A questo si aggiunge l’impoverimento legato alla crescente concorrenza di altri campionati, sia da parte dei Paesi arabi (Arabia Saudita, Qatar, Emirati), sia dalla Cina, che ne ha approfittato anche in chiave Nazionale con le naturalizzazioni di Elkeson, Alan Carvalho e Ricardo Goulart.

La recente introduzione del salary cap ha sicuramente ridotto l’attrattività del campionato cinese, dove negli ultimi anni si sono trasferiti parecchi calciatori non al livello dei top club europei, ma che in Brasile avrebbero potuto fare la differenza – tra gli altri, oltre ai tre già citati, anche Talisca, Alex Teixeira, Alan Kardec, Renato Augusto, Roger Guedes. In ogni caso i 3 milioni annui (più bonus) stabiliti come tetto sono superiori a tutti gli stipendi del Brasileirão, esclusi Gabigol, De Arrascaeta e Dani Alves.

Ciò significa che per giocatori di medio livello la Cina continua a rappresentare un’opzione potenzialmente preferibile al campionato di casa, e infatti anche nell’ultima sessione di mercato nove brasiliani vi si sono trasferiti, tra cui Marcelo Cirino – grande protagonista nella vittoria della Copa do Brasil con l’Athletico Paranaense – e João Miranda, che pare abbia preferito lo Jiangsu Suning all’offerta di tornare al San Paolo.

Negli ultimi anni inoltre stiamo assistendo a una crescente subordinazione dei campionati sudamericani rispetto alla MLS e alla Liga MX messicana. In questo caso la concorrenza è non tanto sui giocatori brasiliani (la cui presenza è piuttosto ridotta), quanto più su quelli provenienti dagli altri Paesi del continente, che ormai spesso trovano quei tornei più attraenti (soprattutto economicamente) rispetto al Brasileirão.

Stando a Transfermarkt quest’ultimo è ancora primo in America per valore totale dei calciatori (885 milioni) davanti a quello argentino (801), ma lo scarto con Liga MX (630) e MLS (604) si sta costantemente riducendo.
Se guardiamo al totale delle spese di calciomercato nel 2019, benché il campionato brasiliano sia al primo posto con 150 milioni – contro i 141 della lega statunitense, gli 89 di quella messicana e i 79 della Superliga argentina -, ben 47 sono stati sborsati dal Flamengo, che in questo momento rappresenta un unicum a livello nazionale, dato che come vedremo sta scavando un solco profondo tra sé e le altre.

VERSO UN DOMINIO ASSOLUTO?

L’anno scorso il Flamengo ha dominato come forse mai era avvenuto nella storia del campionato: da quando esiste l’attuale formato a 20 squadre, nessuno aveva totalizzato tanti punti (90) né gol (86).
Con Jorge Jesus (tornato però al Benfica) i rubronegros hanno vinto 25 partite su 32, perdendone soltanto due, tra cui l’ininfluente 4-0 subito dal Santos (secondo) all’ultima giornata, che ha ridotto il distacco tra le due squadre a 16 punti.

La selezione dell’anno, eletta ogni anno da una commissione di giocatori, tecnici, giornalisti ed ex-calciatori, era composta per 9/11 da giocatori del Mengão, con le uniche eccezioni del portiere Santos e del centrocampista Bruno Guimarães, entrambi dell’Athletico Paranaense.

Sono numeri che preoccupano le inseguitrici e, considerando anche le vittorie di Libertadores, Recopa Sudamericana, Supercopa do Brasil e Campeonato Carioca, si teme di trovarsi davanti a una sorta di “PSG brasiliano” che rischia di togliere interesse a un campionato storicamente molto equilibrato, considerando che dal 2008 a oggi hanno trionfato 6 squadre diverse e che l’unica a riuscirci per due volte di fila è stata – ironicamente – il Cruzeiro nel 2013 e 2014.

Proprio in questi giorni, però, è arrivata la notizia che era nell’aria da qualche settimana: Jorge Jesus torna al Benfica, lasciando sì un’eredità importante in termini di valorizzazione della rosa, mentalità vincente e convinzione nei propri mezzi, ma che senza l’auctoritas del portoghese potrebbe andare incontro a difficoltà oggi impronosticabili.
A prescindere dal sostituto, è lecito aspettarsi un campionato più combattuto rispetto all’anno scorso.

Per tanti anni si è parlato spesso di un campionato con 12 grandi, che romanticamente sarebbero partite ogni anno per giocarsi il titolo: San Paolo, Cruzeiro, Santos, Grêmio, Internacional, Corinthians, Palmeiras, Flamengo, Atlético Mineiro, Fluminense, Vasco e Botafogo.

A queste si è aggiunto negli ultimi due decenni di Brasileirão l’Athletico Paranaense, che ha legittimato il proprio status vincendo la Copa Sudamericana nel 2018 e la Copa do Brasil nel 2019, ma tra le altre alcune stanno arrancando, che sia per cattive gestioni societarie – come nei casi di Botafogo e Fluminense – o per una ripartizione sempre più diseguale dei diritti televisivi a vantaggio dei club con bacini d’utenza più ampi.

È vero che nel calcio i soldi non vincono i trofei, ma la correlazione tra fatturato e successi sul campo è sotto gli occhi di tutti. In Brasile la classifica è guidata da Flamengo (726 milioni di reais) e Palmeiras (600), con a seguire San Paolo (517), Corinthians (427), Internacional (397) e Grêmio (341); seguono Vasco, Atlético-MG, Santos, Botafogo, Fluminense e Athletico-PR.
È molto probabile che, a grandi linee, le classifiche dei prossimi campionati ricalcheranno lo stesso ordine, e non sorprende che immediatamente dietro compaia il RB Bragantino, dominatore della scorsa Série B, dove la sigla sta per Red Bull: la ricetta è la stessa che stiamo vedendo in Europa, e non c’è da sorprendersi se già quest’anno riusciranno a piazzarsi nella parte sinistra della classifica.

RIVALITÀ

Eppure, nonostante le tante problematiche, anche quest’anno non mancheranno certo le buone ragioni per seguire il Brasileirão.

Partiamo dalle rivalità: a prescindere dai mutevoli rapporti di forza, i numerosi derby rimangono partite di per sé sempre cariche di tensione e significato.
Sia Rio de Janeiro che San Paolo presentano quattro squadre ai blocchi di partenza: sotto il Cristo Redentore si sfideranno Flamengo, Fluminense, Vasco e Botafogo, mentre nella capitale paulista vedremo Corinthians, Palmeiras, San Paolo e Santos, che pur trovandosi a circa 70 km dal centro è considerata calcisticamente parte della città.

Scendendo nel Rio Grande do Sul, prima della sosta il girone di Libertadores ci aveva già regalato un infuocatissimo ed equilibrato Grenal di Porto Alegre, in cui Grêmio e Internacional hanno pareggiato 4-4, non nel conto dei gol (non ce ne sono stati) ma in quello degli espulsi.

Se la retrocessione del Cruzeiro ci priverà, per la prima volta dal 2006 nel Brasileirão, del Clássico di Belo Horizonte contro l’Atlético Mineiro, rivedremo dopo 3 anni l’Atletiba di Curitiba – tra Athletico Paranaense e il neopromosso Coritiba – e quello di Goiânia, grazie alla risalita dell’Atlético Goianiense che sfiderà il più quotato Goiás.

L’ultimo della lista, ma non quanto a passione, è il Clássico-Rei di Fortaleza, dove l’omonimo club se la giocherà nuovamente con il Ceará: non sarà tra i più prestigiosi ma di certo è tra i più equilibrati, dato che negli ultimi 24 anni le due squadre si sono spartite equamente i titoli del Campeonato Cearense.

STORIE VECCHIE E NUOVE NEL BRASILEIRÃO

Altra valida ragione sono i giovani: il Brasile è da sempre una fucina straordinaria di talenti, e quasi non c’è campionato al mondo in cui non si trovi almeno un brasiliano.
Anche se come spiegato i migliori tendono ad andarsene sempre più giovani, sembra esserci sempre un rimpiazzo pronto a sostituire i partenti: per ogni Antony che passa dal San Paolo all’Ajax, c’è un Helinho che aspetta solo un’occasione per mostrare il suo talento.
Ogni squadra ha qualche gioiellino da mettere in vetrina: Gabriel Veron del Palmeiras e Kaio Jorge del Santos hanno estasiato nello scorso Mondiale U20, Matheus Henrique e Jean Pyerre hanno riempito brillantemente il vuoto lasciato nel Grêmio da Arthur, Lincoln scalpita per prendersi il suo spazio nel Flamengo, Igor Gomes del San Paolo ricorda il giovane Kaká e il mancino educatissimo di Bruno Praxedes sembra perfetto per elevare il tasso tecnico del muscolare centrocampo dell’Internacional.
Anche scorrendo la classifica verso il basso non si può rimanere indifferenti alla precocità di Talles Magno, a 17 anni già titolare e stella del Vasco, alle skills funamboliche di Marcos Paulo del Fluminense o alla tecnica in velocità di Luis Henrique, recentemente accostato alla Juventus.

Oltre ai volti nuovi, uno storico motivo d’interesse è rappresentato dai grandi ritorni di chi, dopo una grande carriera in Europa, torna a casa per chiudere la carriera.
Oggi l’unico vero fuoriclasse in questo senso è Dani Alves, che si è preso la 10 del San Paolo per puntare ai Mondiali del 2022, ma tra gli altri c’è gente come Filipe Luís e Rafinha – miglior coppia di terzini nel 2019 – , l’ex Atlético Madrid Juanfran, gli ex-Juve Diego ed Hernanes, Ramires, Sandro (che ha firmato con il Goiás dopo aver rescisso col Genoa), gli ex-Milan Luiz Adriano e Ricardo Oliveira, cui si sono aggiunti Keisuke Honda e Solomon Kalou, ingaggiati dal Botafogo che, dopo qualche stagione di basso profilo, aveva quasi chiuso anche per Yaya Touré.

Sarà interessante seguire gli ultimi sviluppi della carriera di Alexandre Pato, su cui Fernando Diniz sembra finalmente puntare forte, oltre a due grandi ritorni: il 39enne Fred è tornato al Fluminense per cercare un ultimo sussulto dopo l’annata nera col Cruzeiro, mentre il Corinthians ritrova Jô, idolo del club dove è cresciuto e dove era tornato nel 2017 vincendo Campeonato Paulista e Brasileirão, di cui fu capocannoniere e miglior giocatore.

Da non sottovalutare poi l’impatto di giocatori che magari in Europa sono visti come figli di un dio minore, ma che in Sudamerica godono di prestigio indiscusso, come El Depredador Paolo Guerrero e Andrés D’Alessandro dell’Internacional, il capitano del Grêmio Pedro Geromel, Diego Tardelli (tornato all’Atlético Mineiro), l’uruguagio Carlos Sánchez – leader tecnico ed emotivo del Santos -, Éverton Ribeiro, pedina fondamentale nel Flamengo pigliatutto e Luan, passato al Corinthians in cerca di riscatto.

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