Nuovi contratti non accettati, VAR announcement escluso e spinta verso una struttura autonoma come in Inghilterra: ecco perché gli arbitri sono sul piede di guerra.
Cresce la tensione nel mondo arbitrale italiano: il rifiuto di firmare i contratti futuri, le incombenze non riconosciute — come il VAR announcement — e la mancanza di chiarezza economica hanno acceso un rischio reale di sciopero tra i fischietti. Spunta l’ipotesi di un distaccamento dall’Associazione Italiana Arbitri (AIA) per dar vita a una società autonoma, finanziata da Serie A, Serie B e Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC).
Cresce la tensione nel mondo arbitrale italiano: il rifiuto di firmare i contratti futuri, le incombenze non riconosciute — come il VAR announcement — e la mancanza di chiarezza economica hanno acceso un rischio reale di sciopero tra i fischietti. Spunta l’ipotesi di un distaccamento dall’Associazione Italiana Arbitri (AIA) per dar vita a una società autonoma, finanziata da Serie A, Serie B e Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC).
Cosa non convince gli arbitri nei nuovi contratti
Il malcontento nasce principalmente dal contenuto dei nuovi contratti proposti, che non recepiscono diverse richieste ritenute legittime dagli arbitri. In particolare, tra le incombenze che non trovano ancora riconoscimento c’è il VAR announcement, ovvero il ruolo specifico legato all’annuncio delle decisioni VAR che richiede competenza, responsabilità e attenzione; ed è percepito come un compito aggiuntivo non accompagnato da corrispettivi prevedibili.

Non solo: ci sono varie omissioni formali nei testi contrattuali, che riguardano compensi, criteri di assegnazione, indennità in caso di trasferte in orari scomodi o situazioni particolari. Gli arbitri attivi, i varisti e gli assistenti hanno espresso perplessità sul fatto che le nuove responsabilità operative non trovino riscontro nelle clausole retributive e nelle tutele previste.
La reazione degli arbitri non è tardata: senza la firma dei nuovi contratti, rischiano di non essere valide le condizioni applicative, con il risultato che potrebbero esserci disaccordi formali che sfociano nel rifiuto collettivo. Questo stato di incertezza alimenta il timore che il servizio arbitrale possa subire interruzioni, specie se le parti non torneranno a dialogare con chiarezza.
In questa fase entra in gioco anche il ruolo della FIGC: il presidente ha cercato un confronto con le rappresentanze arbitrali (arbitri in attività, varisti, assistenti) per cercare di ricucire lo strappo, spiegare le motivazioni, offrire garanzie. Ma la fiducia è messa alla prova: la categoria chiede trasparenza, che ogni nuovo impegno abbia chiare contropartite e che la figura arbitrale sia valorizzata anche nei riconoscimenti economici.
L’ipotesi distaccamento dall’AIA e il modello all’inglese
Per superare lo stallo, è emersa una proposta che potrebbe cambiare profondamente la struttura del sistema arbitrale italiano: il distaccamento dall’AIA, creando una società autonoma gestita direttamente da Serie A, Serie B e FIGC. In pratica, una struttura simile a quella inglese, dove il servizio è affidato a un organismo indipendente rispetto all’associazione arbitrale tradizionale, con maggiore autonomia finanziaria, gestionale e contrattuale.
Questa idea, sostenuta da figure interne che già da tempo ne parlano, avrebbe il vantaggio di separare la gestione della parte operativa, dei compensi, delle attribuzioni, dai vincoli più rigidi e burocratici dell’attuale sistema. Potrebbe garantire una maggiore uniformità nelle decisioni, una valorizzazione più chiara delle performance arbitrali e maggiori risorse per formazione, valutazioni e sviluppo tecnologico (VAR, assistenti, officine VAR, etc.).
Tuttavia, ci sono ostacoli non banali: la definizione giuridica di questa società, le responsabilità verso gli arbitri, chi nominerebbe i vertici, come si gestirebbe l’inquadramento previdenziale e assicurativo, come si garantirebbe che ogni arbitro abbia pari opportunità. Non da ultimo, la disponibilità finanziaria delle leghe e della FIGC a sostenere questo modello in modo strutturale.
La proposta implica anche un cambiamento culturale: gli arbitri esigono che la categoria sia vista non solo come un servizio federale volontario, ma come una professione che merita riconoscimenti stabili, coerenti, trasparenti. Il distaccamento potrebbe essere l’occasione per ridefinire diritti, doveri e ruoli con chiarezza, ma richiede compromessi, negoziazioni serrate e garanzie che tutti gli stakeholder siano disposti a concedere.
Rischio sciopero, effetti sul campionato e scenari futuri
La mancata firma dei contratti non è un dettaglio formale: se la situazione non si sblocca, lo sciopero diventa una possibilità concreta. Gli arbitri hanno fatto sapere che non accetteranno condizioni non adeguate: in sostanza, se le nuove responsabilità non sono riconosciute, potrebbero decidere di fermarsi, o rifiutare le designazioni.
Uno sciopero arbitrale avrebbe conseguenze immediate sulla Serie A, sulla Serie B e più in generale sulle partite ufficiali: rinvii, caos nei calendari, problemi con la regolamentazione, ricadute economiche per club, leghe, broadcaster. Anche la credibilità del sistema sportivo ne risentirebbe profondamente: se gli arbitri non vengono percepiti come una categoria valorizzata, la fiducia dei tifosi nei confronti delle decisioni arbitrali può indebolirsi, così come la percezione di equità.
Gli scenari futuri dipendono molto dalla velocità con cui Figc e Leghe reagiranno. Se propongono modifiche concrete, incontri di mediazione, garanzie scritte, si può evitare lo stato di emergenza. Altrimenti, il distacco – anche se complesso – diventa più realistico: la creazione di una società arbitrale autonoma potrebbe partire già dalla prossima stagione, ma richiede tempi per definire regole, organigrammi, accordi legali.
In ogni caso, la partita non è solo contrattuale, ma anche di vision: come si vuole che sia il calcio italiano nei prossimi anni, come si intende valorizzare chi è arbitro, varista, assistente. Se si superasse il sistema attuale con idee condivise, trasparenza e volontà politica, si potrebbe fare un salto di qualità; se no, resteranno tensioni, contenziosi e, in ultima analisi, il rischio che il sistema arbitrale subisca danni anche reputazionali.
