Quando lo sport incontra la politica: una decisione che può cambiare molto.
L’ipotesi che la UEFA escluda Israele dalle competizioni calcistiche internazionali è tornata con forza nelle cronache sportive. L’organismo europeo starebbe valutando una proposta da sottoporre al prossimo Consiglio Esecutivo, che – se approvata – bloccherebbe la nazionale israeliana e le squadre del Paese da tornei UEFA e potenzialmente anche da competizioni FIFA.
Questa possibilità non è solo un tema sportivo, ma incrocia dinamiche geopolitiche, pressioni diplomatiche, equilibri interni alla stessa UEFA e conseguenze pratiche nelle qualificazioni al Mondiale 2026 — anche per l’Italia. In questo articolo esploreremo come si è arrivati a questa ipotesi, che impatto avrebbe sulle qualificazioni mondiali, e quali scenari possibili emergono all’orizzonte.
Le tappe che portano all’ipotesi d’esclusione
Per arrivare a una proposta tanto drastica, serve un percorso complesso che mette assieme elementi sportivi, politici e istituzionali.
In primo luogo, la spinta alla decisione arriva da pressioni internazionali. A questa si affianca una crescente tensione diplomatica, in cui il conflitto israelo-palestinese assume un peso anche sui palcoscenici sportivi.

Sul fronte istituzionale, la proposta di esclusione è in attesa di essere messa ai voti nel Consiglio Esecutivo UEFA. Per passare, deve ottenere la maggioranza degli organi votanti. Tuttavia, Israele può contare su possibili “veti” da parte di alcuni Stati membri, che potrebbero bloccare l’iter usando le loro relazioni e il peso all’interno dell’organizzazione.
Non va sottovalutato neppure il ruolo della FIFA e del suo presidente, Gianni Infantino: una decisione del genere avrebbe ripercussioni non solo in Europa, ma sull’intero sistema delle qualificazioni mondiali. Nel dialogo tra istanze sportive e pressioni politiche, Infantino dovrà gestire un equilibrio delicato: da un lato la richiesta di sanzioni, dall’altro il pericolo di un precedente che possa disgregare l’universalità dello sport.
Infine, la scelta non è solo un’azione simbolica: le ricadute pratiche coinvolgono direttamente tornei in corso. Il Maccabi Tel Aviv, se escluso, perderebbe l’accesso all’Europa League; la nazionale israeliana verrebbe estromessa anche dalle qualificazioni FIFA per il 2026.
In sintesi, la proposta non è il frutto di un’idea estemporanea, ma il bivio di un percorso alimentato da pressioni politiche e da ragioni istituzionali che mettono in gioco il concetto stesso di sport internazionale.
Quali effetti per le qualificazioni mondiali e per l’Italia
L’eventuale esclusione di Israele avrebbe un impatto diretto sul girone di qualificazione al Mondiale 2026 — e gli effetti per l’Italia potrebbero essere significativi.
Attualmente, nel Gruppo I delle qualificazioni, Israele occupa il terzo posto dietro Norvegia e Italia. Il turno di ritorno tra Italia e Israele è già calendarizzato per il 14 ottobre a Udine, dopo il pirotecnico 5-4 dell’andata. Se Israele venisse escluso, quell’incontro non si disputerebbe più — ma soprattutto il gruppo cambierebbe struttura.Con Israele out, il numero di partite effettive nel girone diminuirebbe, il che potrebbe alterare la distribuzione dei punti e la matematica per il passaggio diretto al Mondiale. Gli Azzurri, attualmente a quota 9 con quattro partite disputate e differenza reti +5, inseguono la Norvegia, prima con 15 punti in cinque gare e differenza reti +21.L’assenza di Israele renderebbe più complicato il cammino per il primo posto (che garantisce qualificazione diretta), e aumenterebbe il peso degli spareggi per chi arriva secondo. In altre parole, l’Italia perderebbe un’avversaria da affrontare, ma nello stesso tempo vedrebbe ridursi il margine di manovra per recuperare posizioni grazie alle vittorie “facili”.
Si profilerebbe anche un effetto psicologico e competitivo: la riduzione del calendario comporterebbe meno occasioni per accumulare punti, e un errore in una partita avrebbe un peso maggiore. Inoltre, la valutazione della classifica avrebbe meno “termometro” per le differenze reti e per l’equilibrio degli scontri diretti.Per l’Italia, quindi, la possibile esclusione di Israele non è una facilitazione, bensì un ulteriore fattore di complessità nella rincorsa al primo posto o nella gestione degli spareggi. L’equilibrio del girone verrebbe ridefinito, probabilmente in modo più imprevedibile.
Scenari futuri e implicazioni politiche
Oltre alle conseguenze sportive immediate, una decisione così radicale spazzerà nel mondo politico e istituzionale del calcio. Un primo scenario è che la proposta venga respinta: con i voti contrari di paesi come Germania e Ungheria, si potrebbe fermare l’iter. Ciò preserverebbe l’attuale assetto, ma darebbe uno stimolo alle lamentele politiche e ai contenziosi diplomatici interni alla UEFA.
Se invece la proposta passasse, l’esclusione di Israele aprirebbe un precedente per possibili future sanzioni in casi analoghi. Sarebbe una reazione forte che rischia di politicizzare ulteriormente il calcio internazionale, trasformando i campi da palcoscenici sportivi a strumenti di pressione diplomatica. Da parte sua, Israele sta già intervenendo: il ministro dello sport, Miki Zohar, ha affermato di lavorare con il premier Netanyahu per impedire la decisione. Ma le trattative diplomatiche dovranno farsi spazio anche tra le stanze UEFA, dove le alleanze e i rapporti di forza saranno fondamentali.
Per Gianni Infantino e la FIFA, l’ostacolo da gestire è enorme: da un lato la comunità internazionale che chiede sanzioni, dall’altro la necessità di difendere il principio di inclusività globale e di evitare che lo sport venga usato come arma politica.Inoltre, la reazione dei tifosi, dei media e dei club sarebbe veemente: l’esclusione di una nazionale “per ragioni non strettamente sportive” rischia di generare divisioni, proteste e denunce da parte di organismi internazionali per lo sport e per i diritti dell’uomo. Infine, in uno scenario più radicale, la decisione potrebbe persino mettere in discussione la partecipazione israeliana alle competizioni internazionali per un periodo esteso, facendo nascere contenziosi legali con FIFA, con club e con le federazioni coinvolte. La palla è ora nelle mani del Consiglio Esecutivo UEFA: la sua scelta plasmerà non solo il destino del calcio israeliano, ma anche quello dell’Italia nel cammino verso il Mondiale 2026, e forse definirebbe un nuovo equilibrio nel rapporto fra sport e diplomazia.
