Tra squilibri tattici, innesti non integrati e una tenuta mentale fragile, i Reds crollano dopo la rivoluzione estiva
Il momento negativo del Liverpool non può essere letto solo attraverso la classifica. Dodicesimo in Premier League, tredicesimo in Champions, tre sconfitte consecutive e dieci gol subiti: i numeri raccontano la superficie. La profondità, però, è nel crollo tecnico-tattico di una squadra che aveva dominato la scorsa stagione e che ora sembra incapace di riprodurre i propri automatismi.
Il Liverpool di Slot viveva di pressione alta coordinata, riaggressione immediata e attacco dello spazio con cinque uomini. Oggi questi principi sono saltati: le distanze tra i reparti si allungano, la linea difensiva non sale più con la stessa sincronizzazione e il centrocampo non ha la capacità di impedire le transizioni avversarie. Anche la costruzione bassa, come si sottolinea anche su alanews.it nell’analisi tattica, è diventata prevedibile, con una difficoltà evidente nel superare il primo pressing.
Gli acquisti non hanno ancora un ruolo definito: un puzzle senza incastri
La rivoluzione estiva — 500 milioni investiti — ha cambiato radicalmente la morfologia tecnica della squadra, ma non ha prodotto un’identità funzionale. Isak, costato 145 milioni, è stato inserito in un sistema che lo isola e non valorizza la sua capacità di legare il gioco. Wirtz, 125 milioni, è un talento straordinario ma ancora lontano dall’essere un catalizzatore nei corridoi interni. Ekitiké, 95 milioni, fatica a trovare una collocazione stabile.
La sensazione è che Slot stia cercando di mantenere il modello dell’anno precedente adattandolo a giocatori con caratteristiche diverse, senza riuscire a riscrivere il sistema in modo coerente.
Intanto anche i senatori soffrono: Salah attraversa uno dei momenti più opachi della carriera recente, mentre Konaté mostra difficoltà sia nell’uscita sul portatore che nei duelli aerei, aspetti in cui era solitamente dominante.
Il peso del lutto Jota: un impatto profondo sulla tenuta dello spogliatoio
Al quadro tecnico si aggiunge un elemento emotivo tutt’altro che secondario: la morte di Diogo Jota e del fratello, un evento che ha toccato profondamente lo spogliatoio. Il Liverpool, una delle squadre più identitarie d’Europa negli ultimi anni, è apparso improvvisamente fragile anche dal punto di vista mentale.
La squadra concede gol in momenti ricorrenti — subito dopo aver subito il primo pressing avversario o nei minuti successivi a un proprio errore — segnali tipici di una condizione interna che non è solo tattica, ma anche psicologica.
Premier e Champions: situazione complessa ma ribaltabile
Lo scenario resta complicato ma non irreversibile. In Premier League, nonostante le sei sconfitte, i Reds sono a tre punti dalla zona Champions. In Europa il percorso è altalenante: tre vittorie e due ko, con la trasferta di San Siro del 9 dicembre contro l’Inter che può diventare uno spartiacque.
Slot è sotto osservazione: le prossime tre gare contro West Ham, Sunderland e Leeds sono considerate decisive anche per il futuro immediato dell’allenatore.
Il Liverpool si trova dunque davanti a una sfida doppia: ricostruire una struttura tecnica sostenibile e ritrovare quella solidità emotiva che negli anni di Klopp era la vera arma segreta. Senza questa duplice rigenerazione, l’investimento da 500 milioni rischia di diventare l’emblema di un progetto che si è complicato più in fretta del previsto.
