Per oltre un decennio, tra la fine degli anni Settanta e gran parte degli Ottanta, il legame tra le tifoserie di Roma e Napoli rappresentò uno degli esempi più iconici di alleanza ultrà in Italia. Le due curve, accomunate da ritualità simili e grande creatività nel tifo, costruirono un rapporto che andava oltre l’appartenenza calcistica. In quegli anni l’incontro Roma–Napoli assumeva la forma di una celebrazione collettiva, un “derby del Sud” fondato su un rispetto raro.
Roma – Napoli, le ipotesi sulla rottura
Nella seconda metà degli anni Ottanta, però, il clima iniziò a mutare. L’episodio più citato riguarda il gesto provocatorio di Salvatore Bagni al termine del match del 25 ottobre 1987, occasione spesso identificata come il punto di rottura definitivo. Tuttavia, secondo molte testimonianze, il nervosismo era già evidente prima del fischio d’inizio. Un’altra, più credibile, chiama in causa le divisioni esplose nella tifoseria giallorossa dopo l’arrivo di Manfredonia, che portarono alla spaccatura del Cucs in differenti fazioni. In quel periodo Boys Roma avrebbero rivendicato la scelta di far naufragare l’alleanza. La scena simbolica della rottura si consumò durante il prepartita del 1987: il portabandiera romanista rifiutò pubblicamente il vessillo partenopeo sotto la Sud. Da quel momento la fiducia accumulata negli anni cominciò a sgretolarsi senza possibilità di ritorno.
Dopo il gemellaggio: rivalità, violenze e tentativi di pace falliti
La frattura generò rapidamente una rivalità crescente. I cori ostili presero il posto dei rituali condivisi, mentre gli scontri—nei pressi degli stadi, in autostrada o nelle stazioni ferroviarie—divennero sempre più frequenti. Alcuni episodi assunsero i contorni di vere e proprie battaglie urbane, come nel violento Napoli–Roma del 2001. Occasionali tentativi di riavvicinamento non ebbero esito. Nel 1991, ad esempio, Gennaro Montuori espose all’Olimpico uno striscione in memoria di Antonio De Falchi, ma parte del settore ospiti lo coprì con fischi. Quell’episodio sancì simbolicamente che l’epoca dei gemellaggi, con i suoi rituali condivisi e la sua rete di relazioni personali, era ormai tramontata.
La morte di Ciro Esposito: il punto di non ritorno
La rivalità tra le due tifoserie conobbe il suo momento più tragico nel maggio 2014, in occasione della finale di Coppa Italia Fiorentina–Napoli disputata all’Olimpico. Prima del match, nei pressi di Tor di Quinto, il tifoso napoletano Ciro Esposito venne colpito da proiettili esplosi dall’ultrà romanista Daniele De Santis. Esposito, ricoverato in condizioni critiche, morì dopo quasi due mesi di agonia, la cui evoluzione fu costantemente seguita dalle principali testate nazionali. La vicenda ebbe un impatto enorme sul panorama del tifo italiano. L’episodio rese Roma e Napoli già da tempo lontane separate da una ferita insanabile. La morte di Esposito divenne un simbolo della deriva violenta del tifo e un punto di non ritorno nella storia della rivalità che ha assunto i tratti di una inimicizia strutturale, ben oltre l’ambito sportivo..
