Doppietta di David Neres, controllo totale e poche concessioni: nella finale contro il Bologna si vede (davvero) il nuovo Napoli, più corto, più verticale e più “Conte” del solito
Il 2-0 con cui il Napoli ha battuto il Bologna in finale di Supercoppa non è “solo” una coppa. È una partita che fotografa un’identità: un Napoli che domina senza frenesia, che sceglie quando accelerare e quando addormentare il match, e che trova in Neres e Højlund due snodi tecnici perfettamente compatibili con il calcio di Conte. Doppietta di Neres (39’ e 57’), gestione quasi chirurgica e Bologna costretto a rincorrere sempre “in ritardo”.
Il 3-4-3: costruzione pulita, ampiezza vera, distanze corte
La chiave – come si legge anche nell’analisi fatta su alanews.it – sta nel vestito tattico: Conte sceglie il 3-4-3 e lo rende immediatamente leggibile. In costruzione, i tre dietro (con Di Lorenzo e Juan Jesus a scivolare in modo molto “elastico” nelle uscite) danno ampiezza alla prima linea, mentre Lobotka fa da metronomo centrale con McTominay a cucire gli strappi tra mediana e trequarti. Sulle fasce, Politano e Spinazzola lavorano da quinti “alti”: non solo per spingere, ma per fissare i terzini del Bologna e impedire ai rossoblù di stringere troppo dentro al campo.
Il risultato è un Napoli ordinato: non palleggio sterile, ma possesso che serve a portare la palla dove Conte vuole davvero, cioè negli half-spaces (i corridoi tra centrale e terzino), lì dove si decidono le partite moderne.
Neres “inside”: il gol da fuori come pattern, non come caso
Il primo gol è l’immagine perfetta del ruolo di Neres in questo Napoli: parte largo, attira l’uomo, rientra e calcia trovando l’incrocio. Ma più che il gesto tecnico, conta la dinamica: Neres non è solo un esterno che dribbla, è un’arma di rifinitura che taglia dentro quando il sistema gli apre la porta.
Anche il 2-0, nato da un pasticcio difensivo (Ravaglia-Lucumì) capitalizzato dal brasiliano, racconta un’altra cosa: il Napoli è sempre “pronto” a mordere l’errore avversario. Non serve un forcing continuo: basta avere uomini già posizionati bene sulle seconde palle e un contro-pressing immediato per trasformare un’incertezza in un colpo che spezza la finale.
Højlund, centravanti-faro: connessioni, profondità e lavoro sporco
Il salto di qualità offensivo passa anche da Højlund. Non solo perché si è preso minuti e responsabilità, ma perché dà al Napoli una lettura più verticale: viene incontro quando serve “appoggio”, attacca lo spazio quando la linea del Bologna si alza, e soprattutto fa da punto di riferimento per far arrivare gli esterni in corsa. Nella finale il suo lavoro apre tracce: per Neres che rientra, per gli inserimenti di McTominay, per i quinti che si alzano senza paura.
E dentro il calcio di Conte, questa cosa pesa: un 9 che connette rende la squadra meno prevedibile e più rapida nel cambiare ritmo. Højlund, arrivato in estate dal Manchester United, è stato scelto proprio per questo tipo di impatto: fisico, attacco della profondità, ma anche partecipazione alla manovra.
La “mano” di Conte: rest defense e controllo delle transizioni
C’è poi il dettaglio che spesso decide le finali: cosa succede quando perdi palla. Il Napoli di Supercoppa è corto, compatto, con una rest defense (la struttura di copertura preventiva) che limita le ripartenze del Bologna e taglia le corse di Orsolini e Cambiaghi prima che diventino pericolose. E quando devi gestire, gestisci: abbassi i giri, non concedi caos, porti la partita dove ti conviene.
In sintesi: Neres è il terminale che “fa male”, Højlund è il perno che dà senso al reparto, e il sistema di Conte è la cornice che rende tutto ripetibile. Non è una notte isolata: è un manifesto tecnico.
