Abel Ferreira, il portoghese alla scoperta dell’America

Portogallo e Brasile parlano la stessa lingua fin da quando portano i rispettivi nomi, ma mai come in questo periodo il concetto si è mutuato dal culturale al calcistico: basta guardare la Copa Libertadores che nelle ultime due edizioni è stata vinta da un allenatore portoghese su una panchina brasiliana. Prima Jorge Jesus col Flamengo, poi Abel Ferreira con il Palmeiras, unici europei a vincere la competizione dai tempi di Mirko Jozic, il croato che portò l’unica Libertadores del calcio cileno al Colo Colo nel 1991.

E doveva essere per forza un Paese come il Portogallo il primo a imporre la sua cultura europea in Brasile. Una sorta di evangelizzazione calcistica del nuovo millennio, che ripercorre la storia del connubio tra questi due Paesi: fu un portoghese, Pedro Álvares Cabral, a scoprire il Brasile nel 1500, mentre fu un brasiliano a indottrinare calcisticamente Abel Ferreira ai tempi del Braga.

Abel, che nella sua Penafiel vicino Oporto, veniva chiamato Abelito, è stato un discreto difensore in carriera, anche se mai effettivamente nel giro della nazionale. La prima squadra che lo portò via da Panafiel fu il Vitória Guimarães, che aveva come allenatore Paulo Autuori. Per chi non conoscesse il personaggio, Autuori non è solo un allenatore brasiliano, ma è uno dei cinque eletti che hanno vinto la Copa Libertadores con due squadre differenti assieme a Carlos Bianchi (Vélez e Boca Juniors), il Patón Bauza (LDU Quito e San Lorenzo) e Luiz Felipe Scolari (Cruzeiro e Palmeiras).

Forse la sua vocazione per il Brasile cominciava a nascere lì, con venti anni di anticipo. La carriera poi lo ha portato a vestire le maglie di Braga e Sporting Lisbona, ma per via di un brutto infortunio ha scelto di ritirarsi a soli 32 anni e di intraprendere la carriera da allenatore, cominciando proprio da Lisbona. Prima le giovanili, poi la squadra B, fino alla chiamata del Braga per prendere la prima squadra.

La crescita con lui del Braga fu impressionante, tanto da fare meglio anche di uno dei suoi predecessori Paulo Fonseca, l’attuale allenatore della Roma. Infatti il Paok si ritrovò a pagare una clausola pur di poterlo portare in Grecia, fatto che poi gli sarebbe ricapitato poco tempo dopo.

Perché l’idea calcistica di Abel Ferreira, principalmente impostata su un calcio offensivo ma che non può trascendere dall’esperienza di difensore del personaggio in questione, affascinava non solo in Grecia, ma anche in Brasile. Se poi si aggiunge che il primo campionato in Grecia porta un secondo posto e una semifinale di coppa nazionale, allora è chiaro che si ha a che fare con un allenatore per cui toccava fare anche delle follie.

Ed è così che il Brasile è rientrato nella sua vita: il Palmeiras dopo l’esonero di un’istituzione come Vanderlei Luxemburgo si prese due settimane di tempo per capire a chi affidare la panchina, ma dopo tante attese la scelta fu proprio quella di Abel Ferreira. Un terremoto clamoroso visto che l’allenatore era ancora sulla panchina del Paok a stagione cominciata, ma venne pagata un’altra multa pur di farlo venire immediatamente ad allenare il Verdão.

Lasciato il Paok a metà anno, Abelito si è ritrovato a fare i conti con un calcio nuovo, ma su cui ha saputo avere il tatto giusto. Ha avuto tempo per trasmettere i suoi concetti europei, quelli da cui il calcio brasiliano è sempre affascinato, ma anche ossessionato, per paura che l’eccessiva contaminazione porti a uno snaturamento della più vincente scuola calcistica di sempre.

La sua missione è stata quella di rimettere in ordine una squadra dal grande potenziale che però non stava trovando le risposte giuste sul campo. Abel Ferreira ha capito su cosa puntare, preferendo lasciare qualche punto in campionato per andare avanti nelle coppe, anche favorito da accoppiamenti non proprio proibitivi: e così per un campionato in cui il contatto con la vetta è stato progressivamente perso, sono arrivate le qualificazioni per le finali di Copa do Brasil e Copa Libertadores.

L’idea di calcio è stata quella di costruire il tutto attorno a un 4-2-3-1 che valorizzasse la qualità di un centrocampo fisico e tecnico, ma non particolarmente veloce, per trovare il cambio di passo nell’ottimo pacchetto di esterni a disposizione, conscio di avere un grande finalizzatore come Luiz Adriano in avanti e una difesa di grande solidità che in seguito si è ritrovata anche un rinforzo di spessore come l’ex Fiorentina e Verona Empereur.

Il suo capolavoro è stato la semifinale d’andata contro il River Plate, dove con una prova di grande intelligenza e copertura del campo è riuscito a fare 3 gol a un’avversaria candidata alla vittoria finale, salvo poi soffrire al ritorno al punto da rischiare seriamente di non difendere quei 3 gol di vantaggio.

Ma in questo grande percorso che l’ha portato poi alla vittoria della finale contro il Santos ha portato diverse invenzioni che hanno permesso alla squadra di avere tante armi in più: la delocalizzazione di Gabriel Menino, passato a fare più volte la fascia anche su suggerimento del Ct Tite, o l’alternanza delle punte nel periodo di assenza di Luiz Adriano, che ha portato a scelte più dinamiche nel ruolo del nove puro.

Abel Ferreira è stato il cervello giusto per portare al compimento una grande impresa, l’impronta europea arrivata con il giusto tatto per rendere grande una squadra brasiliana. Il suo Palmeiras come il Flamengo di Jorge Jesús, campione come quello di Scolari del 1999, pronto a giocarsi dopo una stagione stremante anche il titolo contro il Bayern Monaco.

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