Sabato la finale di Champions League contro l’Arsenal a Lisbona. Ma la vera sfida, vinta già da anni, è quella culturale: oggi il Barça è un modello planetario, più che un club
Se un tempo i giovani tifosi catalani sognavano di diventare Messi, Xavi o Iniesta, oggi i nomi che ispirano le nuove generazioni – maschi o femmine – sono Alexia Putellas e Aitana Bonmatí. E non è solo una questione di immagine: il Barcellona Femminile è diventato, a pieno titolo, la squadra più dominante del calcio europeo.
Sabato le blaugrana affronteranno l’Arsenal nella finale di Champions League a Lisbona, con l’obiettivo di sollevare il trofeo per la terza volta consecutiva, la quarta negli ultimi cinque anni. Una supremazia costruita nel tempo, con metodo e ostinazione, che ha trasformato una sezione nata ai margini in una corazzata senza rivali: 44 gol in 10 gare europee, 10-2 al Wolfsburg nei quarti, 8-2 al Chelsea in semifinale. Numeri che raccontano la forza, ma non spiegano tutto.
Perché dietro il Barça Femminile c’è una storia di resistenza e riscatto. Fino al 2015 le calciatrici non potevano nemmeno accedere agli spogliatoi della squadra maschile. Allenamenti su campi sterrati, maglie maschili troppo larghe, stipendi simbolici (200 euro al mese) e trasferte infinite in pullman: così vivevano le protagoniste di uno sport considerato “fuori posto” nel panorama spagnolo.
Marta Unzué, ex capitana, raccontava: “Chiedevamo solo un campo decente e un vero spogliatoio”. Anche le trasferte erano un’odissea: da Barcellona a Bilbao, a Madrid, in autobus. Poi la partita a mezzogiorno, il ritorno di notte, e la mattina in ufficio o all’università. La La Masia, l’accademia simbolo del club, ha aperto le sue porte alle donne solo nel 2021.
Il punto di svolta arriva nel 2015, con la professionalizzazione della squadra e l’arrivo di Markel Zubizarreta come direttore sportivo. Il piano è chiaro: copiare e incollare il modello tattico del Barça maschile, fondato su possesso, pressione e dominio del gioco. L’accordo da 3,5 milioni con lo sponsor Stanley garantisce stabilità economica, permettendo alle giocatrici di dedicarsi solo al calcio.
Ma non è solo una questione di soldi. Il club investe in fisioterapisti, nutrizionisti, strutture adeguate. Nasce anche l’accademia femminile, e la squadra si sposta dallo stadio secondario all’Estadi Johan Cruyff. Il risultato? Un’esplosione di pubblico, passione e – soprattutto – risultati.
Il Barça vince tutto: Liga dal 2019 a oggi, Champions nel 2021, 2023 e 2024, e in bacheca potrebbe arrivare presto anche il secondo triplete consecutivo (Champions, campionato, Copa de la Reina). Nel 2023, sette titolari della Spagna campione del mondo venivano dal Barcellona. Bonmatí ha vinto il Pallone d’Oro e il Golden Ball al Mondiale. Putellas è stata regina d’Europa per due anni consecutivi.
Certo, il divario economico resta enorme: Bonmatí guadagna circa 1 milione l’anno, Lewandowski trenta. Ma oggi le giocatrici del Barça sono diventate simbolo di una rivoluzione silenziosa, che ha scardinato pregiudizi e restituito al club una dimensione universale.
Sabato a Lisbona, poi la finale di Copa de la Reina contro l’Atletico Madrid: due partite per riscrivere la storia, ancora una volta. E mentre la squadra maschile cerca di ritrovare se stessa, il Barça femminile dimostra ogni giorno cosa significhi essere “mes que un club”.
Non solo vincere. Ma farlo con un’identità, con orgoglio, con visione. E con il pallone sempre tra i piedi.
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