Guardiola, né Brasile con Ronaldo, né alcuna nazionale, né altro. Il tecnico, dopo la fine della sua esperienza al Manchester City, dirà stop. Non definitivamente, sia chiaro, ma si concederà un periodo sabbatico. Non è chiaro se sarà di un anno come nel 2013, o più lungo. L’unica certezza è che alla fine del 2026 (se non eserciterà l’opzione per il 2027) Guardiola sparirà dai radar per un po’.
Il tecnico spagnolo, unico capace di centrare due triplete con due squadre diverse (Barcellona e Manchester City) e con 39 trofei in bacheca, (suscettibile di variazione verso l’altro, considerando la finale di FA CUP largamente alla portata, l’avversario è il Crystal Palace) non ha lasciato spazio alle interpretazioni. Quando scadrà il suo legame con i citizens, non ci sarà un’altra squadra. Almeno non subito. “Ho bisogno di una pausa, non so quanto sarà lunga, non ho detto che mi ritirerò, ma neanche che tornerò subito in panchina”. Pensieri e parole per certi versi inaspettati, arrivate dopo sei mesi sulla firma di un rinnovo altrettanto sorprendente, quando a novembre aveva accettato di prolungare il suo contratto con il Manchester City.
La scelta di Guardiola non dipende comunque da una stagione deludente. Del resto, in Premier, ha accumulato abbastanza credito dopo aver vinto sei degli ultimi sette titoli della Premier League ed essendo comunque in corsa per un posto per la prossima Champions League. La crisi non ha colto di sorpresa il tecnico. “Sapevo che prima o poi sarebbe successo ed ero consapevole che sarebbe accaduto senza troppo preavviso. È stato comunque un anno importante per apprendere e capire il valore del successo, perché è attraverso le sconfitte che si impara a godere delle vittorie e penso che negli ultimi dieci anni sia stato comunque costruito qualcosa di positivo”.
Il futuro, dunque, è tutto da scrivere. Guardiola, come consuetudine, si esprime attraverso concetti piuttosto incisivi: “Penso che i tifosi di Barcellona, Bayern Monaco e Manchester City si siano divertiti a guardare le mie squadre giocare, ma credo che non dovremmo vivere pensando se saremo ricordati. Quando moriamo, le nostre famiglie sono in lutto per due o tre giorni, e poi è finita, ti dimenticano. Allo stesso modo, nella carriera di allenatore ci sono momenti belli e momenti brutti, e l’importante è che quelli belli vengano ricordati più a lungo. Ecco perché non è ciò che la gente pensa di te. Non so cosa succederà in futuro, e alla fine, non so neanche quanto me ne importi”.
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