I motivi della crisi del calcio argentino

La due giorni di coppe in Sudamerica ha visto l’eliminazione del River Plate dalla Copa Libertadores e quella del Rosario Central dalla Copa Sudamericana, entrambe ai quarti di finale: una situazione del genere, senza squadre argentine in semifinale nelle due principali competizioni internazionali, si verifica per la seconda volta nella storia e dopo 15 anni.

Tra il 1960 e il 1987 la Copa Libertadores è stato l’unico torneo internazionale disputato nel continente latinoamericano, finché nel 1988 fu creata la Supercopa Sudamericana, disputata dai club che erano stati campioni della Libertadores almeno una volta, vinta nella sua prima edizione dal Racing Club, primo nel compiere la cosiddetta vuelta olímpica. Successivamente fu creata la Copa CONMEBOL, analoga della Coppa UEFA, disputata dal 1992 al 1999. La Copa Sudamericana è nata nel 2002, inserita nel secondo semestre dell’anno.

Nella stagione 2006, 5 le compagini argentine in Copa Libertadores: Newell’s Old Boys, Vélez Sarsfield, Estudiantes, Rosario Central e River Plate. Nessuno ha raggiunto le semifinali, con Fortín e Millonarios eliminati nei quarti di finale come miglior piazzamento. Analogamente, nella seconda parte dell’anno, c’erano 7 squadre argentine in lizza per la Copa Sudamericana: Boca Juniors, Gimnasia La Plata, Banfield, Vélez Sarsfield, Lanús, San Lorenzo e River Plate. Ancora una volta i quarti di finale furono uno scoglio insormontabile, turno in cui uscirono Ciclón, Lobo e Granate.

Quest’anno nessuna delle 13 squadre argentine (6 in Libertadores e 7 in Sudamericana) presenti ai blocchi di partenza, è arrivata in semifinale: la gloriosa consacrazione della Nazionale argentina, vincitrice della Copa América al Maracanã contro il Brasile, sembra essere stata un fuoco di paglia, visto che poi ben 5 semifinaliste su 8, considerate entrambe le competizioni, provengono dal Paese dell’Ordem e Progresso (Atlético Mineiro, Palmeiras, Flamengo, Athletico Paranaense, RB Bragantino).

Una situazione che è un’istantanea di un trend in atto già da tempo: mentre in Argentina si susseguono cambi di format “fantasiosi” che rendono impossibile dare una chiara identità al torneo locale e conferire attrattiva in ottica estera, il Brasileirão è garanzia di competitività e terreno di investimenti per sponsor, cosa che permette alle squadre di fare acquisti anche pesanti e mantenersi ad alti livelli nelle coppe internazionali. A ciò si aggiunge una situazione economicamente molto più stabile a 360°: il cambio real-dollaro è molto migliore del cambio peso argentino-dollaro, e ciò significa un maggiore potere di acquisto, con conseguente possibilità di offrire ingaggi pesanti ed attrarre giocatori in grado di fare la differenza, senza dover attendere la fase finale della carriera.

Una tendenza che non sembra destinata ad invertirsi nel breve periodo: le due storiche grandi argentine, Boca Juniors e River Plate, sono l’emblema di tale declino, in crisi di risultati e gioco, costrette a vendere ogni anno i loro pezzi migliori e sempre più in difficoltà nella campagna acquisti, dovendo giocoforza lanciare giovani sperando che siano in grado di fare il salto di qualità. Un impoverimento visibile anche nella composizione delle rose delle squadre argentine: pochissimi stranieri di cui quasi nessuno nel giro delle rispettive nazionali, e molti giocatori autoctoni di livello modesto, visto l’immediato espatrio degli emergenti, destinazione Brasile, Messico o USA.

Sarà possibile una riscossa o il futuro riserverà altre nubi minacciose? Ai posteri l’ardua sentenza.

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