Il fallimento di Guardiola?

“Se non vinciamo la Champions il mio lavoro qui a Monaco non sarà completato”- Pep Guardiola

Un amore mai sbocciato quello fra Pep Guardiola ed il Bayern Monaco, finito nel modo più amaro, con la pesante etichetta (forse immeritata) di “fallimento”.

Tre anni fa il tecnico che ha trasformato il Barcellona nella squadra più vincente della storia del calcio era sbarcato in Baviera con un bagaglio carico di sogni e ambizioni: trasformare un Bayern già vincente (reduce dal Triplete) in un’armata imbattibile, grazie al suo tiki-taka che in Germania non ha mai trovato terreno fertile.

Tre semifinali di Champions raggiunte, tre finali negate da altrettante quadre spagnole: in principio il Real Madrid, poi il suo ex Barcellona ed infine l’Atletico di Simeone, la sorpresa di questa edizione. Ma quest’anno la sconfitta è (se possibile) ancora più cocente: il Bayern, soprattutto nella gara di ritorno, ha giocato con carattere, trasformandosi in un Panzer tedesco capace di schiacciare l’avversario e costretto ad abbandonare la competizione soltanto per la differenza reti.

Questo però non è stato il fallimento del tecnico, che ha comunque arricchito la bacheca del Bayern con cinque titoli in tre stagioni, che presto potrebbero diventare sette con la vittoria del terzo campionato consecutivo e della Coppa di Germania contro il Borussia Dortmund. Guardiola dunque non è stato costretto ad alzare bandiera bianca soltanto a causa del suo poco adattato tiki-taka. Fra il suo Barcellona pigliatutto e questo Bayern ci sono profonde differenze tattiche prima che stilistiche.

Quando era alla guida del Barcellona infatti Guardiola ha saputo costruire pazientemente una squadra che mischiava alla perfezione l’esperienza di gente come Puyol, Iniesta e Xavi con i giovani talenti provenienti dalla Cantera. Il suo 4-3-3 era lo schema perfetto per attuare la fitta rete di passaggi che impediva agli avversari di recuperare palla e ripartire e che regalava spettacolo in campo: i terzini erano liberi di avanzare e portarsi sulla linea di centrocampo, creando assieme ai centrocampisti un giro palla ipnotico e sfiancate; davanti bastavano la fantasia di Messi, Fabregas, Pedro e Sanchez, trasformati in “falso nueve”, per far sì che la sua filosofia di gioco diventasse letale contro qualsiasi squadra.

Un calcio totale, camaleontico ma irripetibile, come ha capito a sue spese Guardiola una volta approdato in Germania: non si può riproporre il tiki-taka in un club che ha avuto da sempre una mentalità diversa da quella degli spagnoli. Il solido 4-2-3-1 di Heynckes, che esaltava alla perfezione le caratteristiche dei suoi giocatori, non poteva adattarsi al gioco del tecnico spagnolo. Neanche il rivisitato 4-1-4-1 ha sortito gli effetti sperati: devastante in patria ma troppo fragile per resistere agli attacchi di compagini più forti. Ma, nonostante il mancato raggiungimento dell’obiettivo, Guardiola ha ridato nuovo spirito alla squadra, ringiovanendo la rosa con innesti di qualità e preparando, chissà, un terreno fertile per il suo successore Carlo Ancelotti.

Guardiola è già pronto a lasciarsi alle spalle questi tre anni che non gli hanno regalato i frutti sperati: all’orizzonte c’è il Manchester City, eliminato ieri dal Real Madrid ma giunto per la prima volta nella sua storia alle semifinali di Champions League. Una nuova sfida, un nuovo campionato, nuovi rivali: Guardiola è pronto a tornare al successo.

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