Il Pallone d’oro sudamericano: il ’77, l’81 e l’82 di Zico

Forse il più grande artista e attaccante brasiliano dopo l’epoca di Pelé. Un campione dalle qualità innate in grado di rendere semplici e banali anche le giocate più impossibili diventando una vera e propria icona del calcio mondiale. Zico è stato un numero dieci completo, capace di segnare gol impossibili e servire assist al bacio per i compagni senza dimenticare quella straordinaria abilità su calcio piazzato che lo ha reso celebre in tutti i Continenti.
Nacque a Rio de Janeiro, nel quartiere Quintino, nel 1953 ed è l’ultimo di quattro fratelli e una sorella e i cinque da piccoli formarono una fantastica squadra di calcio a cinque nelle strade della città. Iniziò a crescere nelle giovanili del Flamengo, la più popolare squadra della nazione che però non era mai stata in grado di imporsi con decisione a livello nazionale e sudamericano. Debuttò in prima squadra nel 1971 e non ne uscì più. Vinse subito il campionato Carioca nel 1972 e ripeté l’impresa nel 1974. In quest’ultimo titolo fu assoluto protagonista andando a segno per ben venti volte, ma non era che l’inizio. La stagione seguente vinse la sua prima classifica marcatori andando in rete per ben trenta volte. Tra i rossoneri era ufficialmente iniziata l’era Zico. Nel 1976 si guadagnò in occasione di un’amichevole contro l’Uruguay l’esordio in nazionale, andando subito in gol, e nel 1977 divenne il miglior giocatore sudamericano dell’anno. Non riuscì a vincere titoli perché nel Brasileirão il Flamengo si fermò al terzo turno e nel Carioca diede vita a un entusiasmante sfida per il titolo con il Vasco da Gama, ma a spuntarla a fine anno furono proprio i bianconeri. Nonostante questo Arthur Antunes Coimbra riuscì a vincere la classifica marcatori con ventisette reti e a portarlo al centro della cronaca fu una sua quaterna in un Brasile-Bolivia valido per le qualificazioni al Mondiale in Argentina. A fine anno vinse così il suo primo Pallone d’oro arrivando davanti ai veterani Rivelino e Figueroa.

Un grave infortunio ne limitò però la stagione successiva, tanto che riuscì a giocare solo il Carioca ma non scese mai in campo nel campionato nazionale. Nonostante gli acciacchi volle a tutti i costi essere presente al Mondiale, ma non riuscì a incidere più di tanto andando a segno solo su rigore contro il Perù. Stava però per iniziare una vera e propria dittatura del Flamengo nel calcio sudamericano, ma per iniziare si portò a casa i titoli Carioca del 1978 e del 1979 con Zico che divenne capocannoniere di quest’ultimo con l’impressionante numero di trentaquattro reti, un record in carriera. L’anno seguente i rossoneri riuscirono finalmente a uscire dall’anonimato nazionale e trascinati dalle ventuno reti del proprio fuoriclasse vinsero il loro primo storico Brasileirão. Fu una doppia emozionantissima finale con l’Atlético Mineiro, ma alla fine furono il Galinho, autore di una decisiva rete in finale, e compagni a vincere il titolo. Il successo aprì dunque le porte della Copa Libertadores e nel 1981 venne scritta la storia. Dopo aver passato i gironi iniziali i brasiliani si trovarono in finale contro i cileni del Cobreloa. Al Maracanã fu una doppietta di Zico a indirizzare la Coppa verso Rio de Janeiro, prima con un destro in scivolata e poi con un precisissimo rigore a spiazzare Wirth. A Santiago arrivò però la sconfitta e fu necessario lo spareggio sul campo neutro di Montevideo e a salire in cattedra fu ancora il numero dieci rossonero. Sbloccò il risultato con una perfetta girata di destro e poi nella ripresa chiuse ogni possibile discorso di rimonta con una delle sue telecomandate punizioni all’incrocio dei pali che lasciò di sasso il portiere. Il Flamengo per la prima volta nella sua storia era diventato campione del Sud America e Zico venne nominato miglior giocatore della competizione, oltre che capocannoniere con undici reti. A completare un anno da sogno ci fu anche la vittoria in Coppa Intercontinentale a Tokyo contro il Liverpool. Fu un dominio brasiliano e il 3-0 finale elevò ancora di più la grandezza del numero dieci che, pur non segnando, venne nominato uomo partita. L’assegnazione del Pallone d’oro sudamericano fu dunque una formalità e per nessuno poteva esserci giocatore più meritevole del ragazzo di Quintino che si lasciò alle spalle campioni come Maradona e Júnior.

La fame e la voglia di successi però non si placarono e il Flamengo voló verso il secondo successo nel Brasileirão. Zico divenne, nemmeno a dirlo, il miglior marcatore del campionato con ventuno reti e leggendaria fu la sua semifinale contro il Guaraní. Dopo aver vinto 2-1 a Rio de Janeiro, tutto era ancora aperto nel ritorno a Campinas, ma in campo c’era un fenomeno. Segnò in tutti i modi possibili, prima con un colpo di testa, poi con un terrificante destro al volo da oltre venti metri e infine su rigore. A nulla servi la doppietta di Mendonça perché il 2-3 finale era stato decisivo per l’approdo in finale contro il Grêmio. Nella gara di andata in casa le cose si misero male quando a pochi minuti dalla fine fu Tonho a portare in vantaggio gli ospiti. Quando ormai l’arbitro Wright stava per fischiare la fine ecco che Zico anticipò in maniera netta Newmar e di esterno destro trafisse Leão per l’1-1 che lasciava ancora tutto aperto. Lo 0-0 di Porto Alegre obbligò allo spareggio e Nunes divenne l’eroe dei Carioca con la rete della vittoria. In quell’estate inoltre vi era anche il Mondiale in Spagna e il numero dieci era più in forma che mai. Segnò contro la Scozia, una doppietta alla Nuova Zelanda, arricchita da una meravigliosa rovesciata, e una rete all’Argentina. Nulla sembrava poter fermare il Galinho, ma nell’Italia giocava Claudio Gentile, un terzino che si attaccò a lui per tutta la partita riuscendo anche a rompergli la maglietta. Una tripletta di Rossi spense il sogno Verdeoro, così come quello del ragazzo di Rio. Le sue straordinarie prestazioni però gli consentirono di dimenticare la cocente delusione e arrivò ancora una volta primo nella classifica del Pallone d’oro sudamericano davanti a leggende del calibro di Falcão e Maradona.
Riuscì ancora a vincere un Brasileirão l’anno seguente, ma ormai a ventinove anni era destinato a un’avventura europea. A sorpresa fu il piccolo Udinese ad acquistarlo, facendo scoppiare una vera e propria mania per il brasiliano. In Italia ci rimase poco, ma quanto bastò per diventare un’icona della Serie A. Rio de Janeiro e il suo Flamengo gli erano rimasti nel cuore e nel 1985 tornò a casa, ma gli infortuni iniziarono a diventare sempre più frequenti. La sua seconda esperienza rossonera fu molto meno felice e nel Mondiale 1986 partì da riserva e nella decisiva sfida con la Francia sbagliò anche un rigore. Fu la sua ultima partita con la Seleçao e la fine di un mito. Dal 1989 divenne un ambasciatore del calcio giapponese, prima nei Sumitomo Metals e poi nei Kashima Antlers, squadra con la quale si ritirò a quarant’anni nel 1994.

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