La Juventus cade contro il Parma e torna nel baratro. Con Tudor si era intravisto uno spiraglio, ma forse la malattia è più profonda del previsto. E la Champions si allontana
Tre vittorie, qualche buona prestazione, un Koopmeiners ritrovato, la sensazione che qualcosa stesse cambiando. Poi arriva il Parma e ci sveglia di colpo. E ci dice la verità in faccia, senza filtri:
questa Juve, anche con Tudor, non è guarita.
Contro una squadra mediocre (senza offesa per nessuno), abbiamo fatto una figura da provinciale. Senza idee, senza rabbia, senza orgoglio. Tutto quello che sembrava rinato è evaporato in novanta minuti di nulla. Una squadra senza anima, senza leader, senza mordente. E non è la prima volta. Ma stavolta fa più male. Perché dopo Motta, dopo i mesi passati a guardare il vuoto, ci eravamo convinti che il fondo fosse alle spalle.
E invece no. La verità è che non era solo una questione di panchina. Tudor ci ha messo ordine, ha dato un senso alle cose. Ma non può fare miracoli con una rosa che è un cantiere mal pensato. I problemi sono strutturali: giocatori sopravvalutati, altri già mentalmente altrove, altri ancora fuori forma da mesi.
La sconfitta col Parma lo dimostra: appena si spegne la luce dei titolari, il buio è totale.
Vlahovic non segna manco sotto la doccia, Kolo Muani continua a sembrare un oggetto misterioso, e a centrocampo, senza Locatelli al 100%, è il deserto tecnico.
E la difesa? Scollegata, lenta, prevedibile. Il Parma non ha fatto un’impresa. Ha semplicemente colto l’occasione che noi gli abbiamo regalato. Come ormai succede troppo spesso.
Guardiamola in faccia, la classifica: la Juve è quinta. Dietro al Bologna. Fuori dalla Champions.
A oggi, quella musichetta che un tempo ci apparteneva non si sentirebbe nemmeno in lontananza. E non è solo un dramma sportivo. È un disastro economico, d’immagine, d’identità.
Una Juve senza Champions è una Juve che rischia di perdere giocatori, appeal, prospettive.
Non si può vivere di ricordi. Non si può continuare a dire “torneremo”. È da anni che sentiamo queste frasi. E ogni volta il baratro è sempre più profondo.
“La mediocrità non arriva mai all’improvviso. Ti accarezza piano, finché ti abitui a lei.”
Ecco, il problema è che questa Juve sembra troppo a suo agio nella mediocrità. Come se ormai fosse la sua nuova normalità.
Io non sono uno che si abbandona al disfattismo. Ma quando è troppo, è troppo. Questa squadra deve reagire subito. Per salvare una stagione, ma anche un’identità. Perché la Juventus non è fatta per galleggiare.
È fatta per comandare. Per vincere. Per incutere timore. E oggi fa solo compassione.
Tudor non può fare tutto da solo. Servono leader in campo, servono parole forti nello spogliatoio, servono facce cattive, non sorrisi rassegnati. Perché se da qui a fine maggio non si inverte la rotta, la parola “fallimento” sarà anche troppo gentile.
E io, che ne ha viste tante, non ho più voglia di fare il becchino della Vecchia Signora.
È ora di scegliere: o si torna a essere Juventus.
O si smette di chiamarsi così.
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