La partita in cui è cambiata la storia dell’Argentina

Eventi come la vittoria del Mondiale dell’Argentina hanno bisogno senz’altro di punti di svolta: in Qatar è ovvio che tutto sia girato dal gol di Messi col Messico che ha spaccato il cristallo in cui si era imprigionata la squadra dopo quei folli 5 minuti del secondo tempo con l’Arabia Saudita, ma la nascita dello spirito di gruppo che ha guidato questa nazionale, capace di vincere tre titoli in tre anni, lo si deve a una partita del 2019.

Se il primo titolo mondiale dell’Argentina nel 1978 getta le sue basi sul 6-1 preso vent’anni prima al Mondiale svedese con la Cecoslovacchia, l’ultimo successo albiceleste deriva dalla sconfitta di Belo Horizonte contro il Brasile in semifinale di Copa América.

Lì, da una sconfitta che se rivista oggi negli highlights sembra impercettibilmente ingiusta, si è creata la vera nazionale di oggi. In quel 2-0 che fermò un cammino fin lì senza intoppi ma anche senza particolari momenti esaltanti visto il format breve del torneo che aveva visto dopo il girone solo un semplice quarto di finale con il Venezuela, c’è tutta la nascita tecnica ed emotiva dei ragazzi capaci di vincere Copa América, Finalissima (per il valore che le si vuole dare) e Mondiale.

Perché al termine di quella gara, secondo gli argentini fortemente condizionata dall’arbitraggio di Zambrano, si è scatenato un processo di reazione che ha contribuito a dare quegli stimoli che sono stati il vero motore di questa squadra. “Manos boludas, penales pelotudos” l’iconica frase di Messi, “Falli di mano sciocchi, rigori ridicoli” per intenderci. Si tratta del primo atto da capopopolo di Lionel, che da lì in poi ha deciso di trascinare il gruppo e che solo dalla partita prima col Venezuela aveva cominciato a cantare l’inno, cosa mai accaduta prima di quel torneo.

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(DOUGLAS MAGNO/AFP via Getty Images)

La partita successiva fu la finale per il terzo posto con il Cile: una partita per Messi durata solo 37 minuti, tempo di una rissa con Medel che gli è valsa il secondo cartellino rosso della sua carriera, ma anche la proclamazione a condottiero di quel gruppo. Si era sporcato la bocca, le mani, ma l’aveva fatto per il suo Paese, per i suoi compagni, che in quelle parole e in quei gesti avevano trovato qualcosa in cui credere.

Si è formato così il gruppo di ragazzi che per Messi ha dato tutto: quelli che al fischio finale della finalissima di un anno dopo sono corsi ad abbracciare prima lui e poi hanno festeggiato per conto suo, quelli come De Paul e il Dibu Martínez che hanno dichiarato di voler giocare per la leggenda che avevano affianco in spogliatoio, oltre che per l’Argentina. Uno spirito di sacrificio e di unione che è stata la vera chiave per battere avversari probabilmente più forti come il Brasile di quella finale del Maracanã e la Francia battuta ai rigori a Doha.

messi de paul
(Photo by FRANCK FIFE/AFP via Getty Images)

Perché tutti hanno messo qualcosa in più e quando quel qualcosa in più non bastava sono arrivate le giocate di Messi, quelle che hanno cambiato la storia di questo Mondiale. Il gol al Messico, i tanti gol dell’1-0, gli irreali assist per Molina con l’Olanda e per Julián Álvarez con la Croazia.

Hanno vinto per lui ma soprattutto con lui, perché hanno vinto tutti, anche chi non era convocato come Agüero, che ha dormito in stanza con lui così come nella Copa América brasiliana, o gli esclusi per infortunio o per scelta tecnica come Nico González, Lo Celso e Martínez Quarta. Tutto il gruppo che ha fatto parte di questo triennio di successi, plasmato nella notte di Belo Horizonte da una dichiarazione contro l’arbitro e arrivato ad alzare una coppa nella finale più incredibile di sempre. Nulla di più argentino si poteva immaginare.

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