La rivincita finale di Lionel Messi

In ginocchio al fischio finale: due pugni stretti, forse qualche lacrima, poi l’abbraccio di tutti i compagni. È stata la vittoria dell’Argentina e di tutti gli argentini, ma soprattutto quella di Lionel Messi. Sono andati tutti immediatamente da lui a cercarlo, ad abbracciarlo, a ringraziarlo per la vittoria. Si è tolto finalmente la spina, utilizzando le sue parole, è riuscito a vincere l’unica cosa che gli mancava in carriera, un titolo con la nazionale.

Fine di un supplizio durato anni, 28 dall’ultimo successo dell’Argentina, 15 dal suo primo grande torneo disputato in Albiceleste. Aveva disputato tre finali di Copa América e una del Mondiale, le aveva perse tutte, ma solamente una nei tempi regolamentari. Ci è sempre arrivato vicino, a un soffio, ha pensato anche di mollare quando ha capito che per vincere sarebbe servito forse un miracolo.

Ed è infatti a Dio che si è rivolto nelle sue dichiarazioni post gara, dicendo che forse è stato lui a riservargli questo spazio d gloria, quello in cui batte il Brasile in Brasile dopo un torneo giocato a livelli mai visti. La finale è stata probabilmente la peggior partita delle sette disputate, ma è stato comunque un eccellente sceneggiatore come chi l’ha preceduto. Nel Mondiale 1986 Maradona mandò in porta Burrughaga, senza segnare nessuno dei 3 gol alla Germania; Messi invece ha applaudito Di María, suo concittadino di Rosario servito da un meraviglioso assist di De Paul.

Non c’era bisogno della sua firma per vincere una Copa già ampiamente autografata da lui: miglior giocatore, miglior assistman e capocannoniere del torneo. Stavolta l’episodio è girato al verso giusto, al contrario degli errori di Palacio e Higuaín, o del suo rigore sbagliato contro il Cile, e tutto sembra avere un altro sapore. L’Argentina è cambiata con Messi, Messi è cambiato con l’Argentina.

Nel binomio 2010-2011, peggior parentesi della sua avventura con la Selección dove si è formato il mito del Messi in crisi in nazionale, probabilmente ha sofferto le presenze ingombranti di totem del calcio argentino che ne oscuravano la sua capacità di essere la guida tecnica della squadra. Giocatori come Verón, Tévez, Lavezzi, Higuaín con cui dividere lo spogliatoio erano decisamente difficili da gestire rispetto ai compagni attuali, un gruppo di gente giovane cresciuta nel mito di Messi e che per lui darebbe tutto.

Emiliano Martínez ha detto che darebbe la vita per lui e probabilmente lo farebbero tutti gli altri. Lionel di questa squadra è stato il faro, la luce, non solo la stella: dalla Copa di due anni fa ha cambiato il suo atteggiamento, si è reso il vero capopopolo, ha saputo sfidare anche giganti come istituzioni e federazioni. La sua carriera probabilmente non aveva bisogno di questo titolo per essere legittimata, ma in questo modo si spegne ogni dubbio, ogni perplessità: Messi è campione, è il più grande del mondo, se la gioca per essere il più grande di sempre.

Certi pareri sono ed è giusto che rimangano soggettivi, ma questa vittoria sul piano simbolico ha un valore gigantesco, perché dà grandissima dignità anche al suo percorso in albiceleste, spesso sottovalutato da etichette troppo facili. Di questa nazionale è il miglior marcatore di tutti i tempi, è quello con più presenze e adesso ha anche il suo titolo. E chi sminuisce un torneo come la Copa América ha un atteggiamento terribilmente superficiale e irrispettoso, dato che l’Argentina in questo percorso ha affrontato Cile, Uruguay, Colombia e Brasile, praticamente tutto il continente tranne Perù e Venezuela, avversarie che non possono essere screditate con tanta facilità.

Alla fine è giusto così, è giusto che abbia alzato il trofeo tanto atteso nel suo miglior torneo giocato. Metterà nel mirino il Mondiale perché non può fare altrimenti, anche se è un’impresa che sembra fuori portata. Ma da questa notte del Maracanã il cerchio si è ufficialmente chiuso e tante bocche avranno più rispetto per Lionel Andrés Messi Cuccittini, la leggenda del nostro tempo.

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