3-3 a Cagliari. Il Milan si tira la Zappa sui piedi. La doppietta del difensore vanifica quanto di buono costruito da Leao e Abraham. I rossoneri incassano tre reti e lasciano due punti che valevano un tesoro in ottica Champions.
Il 3-3 contro il Cagliari lascia in eredità pregi e difetti di un Milan bello e imperfetto che ripropone la fase offensiva del Bernabeu ma anche le solite amnesie viste sinora in Serie A. E Fonseca, al netto dei complimenti, va alla pausa di campionato lontano non solo dalla zona Champions, ma anche fuori dalla Conference League. La Serie A dà ragione all’allenatore del Milan. La tattica e l’atteggiamento, a queste latitudini, sono elementi decisivi almeno tanto quanto talento e attitudini dei singoli. La distribuzione dei gol subiti è allarmante: dopo due minuti di gioco e a uno dalla fine. Due indizi che sommati ai gol annullati rappresentano la prova di un Milan poco presente a sé stesso.
Questa sfida ricca di gol realizzati e subiti racconta moltissimo del Milan capace, nella stessa partita e addirittura nella stessa porzione di campo, di produrre e soffrire tantissimo. Una squadra che ambisce a vincere il titolo o a regalarsi un campionato di vertice non può tornare da Cagliari con tre gol e un solo punto. Leao ed Hernandez fotografano perfettamente le due facce del Milan. Elegante e bello a vedersi quanto poco incline al sacrificio e all’attenzione contro avversari poco “affascinanti”. Vizi ormai cronici, quelli rossoneri capaci di risolvere con il talento i problemi con le grandi (Inter e Real Madrid), così come di cacciarsi nei guai quando sono chiamati a restare sul pezzo per chiudere la pratica contro le medio piccole.
Abbastanza per mettere in discussione scelte, sostituzioni, moduli e sofferenze strutturali. La fascia sinistra, decisiva a Madrid, è stata determinante anche a Cagliari, questa volta in negativo. I sardi, da quella parte, hanno trovato spazi e modi per far male ai rossoneri. In generale, la squadra di Fonseca riproduce errori in fotocopia: scarsa attenzione in marcatura, letture preventive errate e gol subiti sempre allo stesso modo. Quanto basta per interrogarsi su quale sia il reale valore intrinseco di giocatori che eseguono prima di pensare e, inseguendo istinto e talento più dei dettami tattici, cedono al desiderio di specchiarsi dimenticandosi dell’interpretazione della fase difensiva. Per vincere, però, nell’arco di una stagione serve l’impianto corale. E in questo senso, almeno in campionato, il Milan di Fonseca è figlio dei suoi tenori più che di uno spartito.
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