Il Milan sta chiudendo una stagione storta con un finale in crescita. “Senza un vero progetto tecnico e societario, resterà tutto vano. A partire da Conceiçao e dalle stelle”
Non è tutto da buttare, no. La Supercoppa Italiana vinta contro l’Inter è reale, la finale di Coppa Italia è un traguardo concreto, e il recente risveglio in campionato — per quanto tardivo — dice che questo gruppo qualcosa di buono ancora ce l’ha.
Il Milan ha rialzato la testa quando ormai sembrava impossibile, e per una tifoseria umiliata da mesi di disillusioni, questo conta.
Ma se c’è una cosa che ho imparato nella mia lunga storia di amore tormentato per questi colori, è che le illusioni di primavera sono pericolose.
“Anche i rami secchi, a volte, fingono la vita con un filo di verde,” scriveva Montale.
Ecco: non basta qualche fiore tardivo per nascondere che questa è stata una stagione sbagliata.
Il tema è chiaro e inevitabile: ripartire da Sergio Conceiçao ha senso?
La risposta, per chi ama il Milan e la sua storia, è dolorosa ma semplice: no.
Conceiçao ha ereditato un gruppo fragile e lo ha rattoppato con orgoglio. Ha portato grinta, qualche buona idea, qualche serata da Milan. Ma non basta.
Non basta per costruire un futuro. Non basta per tornare a vincere davvero.
Serve un progetto tecnico preciso, moderno, ambizioso. Serve un allenatore che costruisca identità, non che la rincorra a sprazzi.
E se questo comporterà dolorose separazioni, ben vengano.
Perché il Milan non può permettersi di vivere di transizioni infinite. O si vince, o si riparte. Ma si riparte sul serio.
Il problema non è solo in panchina. È sopra. È nelle stanze dei bottoni.
Il Milan, oggi, è un progetto confuso. Troppi galli nel pollaio, ruoli non definiti, un’idea tecnica che cambia al primo vento contrario.
Serve una società vera, chiara, con figure centrali forti.
Serve sapere chi decide. Chi guida. Chi risponde delle scelte.
Senza questo, nessun allenatore potrà mai vincere davvero.
E poi c’è il tema più spinoso: i big. Theo Hernandez. Mike Maignan. Rafael Leao. Tre giocatori straordinari, ma anche tre nodi da sciogliere. Se arriveranno offerte irrinunciabili, è giusto considerarle. A patto che si costruisca qualcosa.
Vendere non deve essere un’onta. Deve essere il primo passo verso una rinascita. A condizione che i soldi vengano investiti con intelligenza, coraggio e visione.
Il Milan ha dato segni di vita. Ha onorato la maglia in questo finale.
Ma non basta. Non basterà mai.
Chi ama il Milan non sogna semifinali di Coppa Italia. Sogna finali di Champions.
Chi ama il Milan non si consola con un 3-0 nel derby. Vuole dominare. Sempre.
E allora, adesso, serve lucidità. Serve coraggio. Serve costruire un futuro degno della nostra storia.
Con nuovi uomini in panchina, con nuove idee in società, con nuove fondamenta tecniche.
Perché il Milan non è un cantiere eterno.
È una cattedrale. E merita di tornare a brillare.
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