Calcio estero

Mondiale per club, le contraddizioni: dal regolamento al mercato

Il Mondiale per club apre i battenti e le polemiche. Inevitabile che una competizione del genere sia divisiva: per adesso le perplessità sono pari alla curiosità, anche se alcune crepe perlomeno nel regolamento, sono oggettivamente visibili.

Un Mondiale per club senza campioni nazionali

La prima curiosità che salta agli occhi si lega alla contraddizione che si porta dietro una competizione che dovrebbe racchiudere l’eccellenza del calcio mondiale.  Delle 32 squadre ai nastri di partenza, solo otto possono fregiarsi del titolo di campioni nazionali dei rispettivi paesi in carica. Pochi, considerando le 20 nazione rappresentate. Sono assenti, per l’Europa, Liverpool, Napoli, Barcellona, Sporting Lisbona, ma non partecipano neanche i vincitori del campionato argentino, giapponese e della MLS. Assenti anche la metà dei club laureatosi Campioni nei rispettivi continenti. Sarà in campo il Paris Saint Germain, alla stregua del Botafogo, mentre non hanno trovato spazio Africa (Pyramids), Asia (Al Ahli) e Nord/Centro America (Cruz Azul).

Un criterio di qualificazione da rivedere

Nel mirino anche il criterio di qualificazione. Il sistema prevede il calcolo dei risultati ottenuti dal club nelle ultime cinque stagioni ai massimi livelli continentali. In questo senso la Juventus, che nel 2021 ha vinto il suo ultimo titolo, ha poi preso una discesa in termini di risultati che non hanno comunque condizionato la partecipazione dei bianconeri. In questa ottica si inerisce anche il Red Salisburgo, che ha dominato in Austria sino a pochi anni fa, ma che al netto della presenza al Mondiale recita da comparsa nel proprio campionato. Appare dunque evidente che serva un cambiamento, perlomeno un aggiornamento dei criteri di qualificazione. Non è detto, in sintesi, che chi è stato competitivo cinque anni fa lo sia anche adesso.

Il rischio: la sperequazione e  il caos nel mercato

E infine c’è il rischio di sperequazione: allargare la forbice nei paesi calcisticamente minori dove il calcio non è ancora “paritario”. Non serve una laurea in management sportivo per percepire quanto sia  evidente che i ricavi di una squadra come l’Al Ahly, già largamente la più ricca in Egitto, possano rendere ancora più squilibrati i rapporti di forza. Sino a trasformarli in solchi incolmabili a discapito della crescita del movimento complessivo. In questo senso si inserisce anche il mercato. Le nazionali che, in occasione del Mondiale, cercano a tutti i costi di rendere il gruppo più coeso possibile al fine del raggiungimento dell’obiettivo comune. L’esatto contrario di quello che accade nei club che invece utilizzano questo periodo per un restyling più o meno profondo in relazione ai risultati ottenuti e lo spogliatoio tende a sfaldarsi o a rinnovarsi. Insomma, più caos che spettacolo, con queste premesse.

Pasquale Luigi Pellicone

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