Storia del Pallone d’oro: il ’56, Stanley Matthews

Quando viene istituito un nuovo premio è sempre difficile stabilire chi merita l’onore di entrare nella storia diventando il primo vincitore. Nel 1956 probabilmente non si capiva ancora l’importanza di questo premio, non si sapeva se sarebbe stato un premio alla carriera o un premio all’annata e così il primo di sempre a essere insignito di questo storico riconoscimento fu Stanley Matthews. Un’ala destra vecchio stile, che viveva di dribbling e di cross e che ha ottenuto questo riconoscimento addirittura a quarantun’anni, un record che difficilmente verrà mai battuto.

Il Mago, così veniva chiamato, nacque nelle Midlands occidentali a Hanley nel 1915 e a differenza di molti suoi colleghi venne sempre ricordato come uno studente modello, ligio al dovere e alla disciplina. Il calcio per lui era una grande passione che non doveva limitare la sua cultura, ma il talento iniziò a essere sotto gli occhi di tutti e venne chiamato negli England Schoolboys. I primi ad accaparrarselo furono i Potters dello Stoke City quando questi aveva solo quindici anni. Negli anni ’30 era consuetudine per gli attaccanti aspettare l’arrivo del difensore iniziando così uno scontro fisico che avrebbe determinato chi sarebbe rimasto in possesso della palla, ma Matthews fu il primo a cambiare questo modo di giocare invertendo direzione con un tocco di suola all’indietro che permetteva di evitare inutili contrasti e di sorprendere gli avversari. Si trattava di una giocata che oggi verrebbe considerata elementare, ma che di certo non lo era allora e la stampa inglese iniziò ad adorare questa giovane promessa. Quando a diciassette anni potè firmare il suo primo contratto da professionista decise di rimanere con i biancorossi e fin da subito gli venne offerto il massimo contratto possibile per un calciatore, cinque sterline a settimana. Come è cambiata l’economia e il mondo del calcio da allora.

Il debutto arrivò nel marzo 1932 contro il Bury, ma per il primo gol si dovette aspettare un anno e fu nello speciale derby contro il Port Vale. Nonostante divenne una bandiera e un simbolo dello Stoke City non nascose mai la sua passione per i bianconeri. La stagione si concluse in maniera gloriosa con la promozione in First Division e l’entusiasmo della prima annata tra i grandi superò la paura e a fine anno segnò il ragguardevole numero di quindici reti, il record della sua intera carriera. A soli diciannove anni era già considerato un campione ed è un peccato che l’Inghilterra decise sempre di snobbare i Mondiali degli anni ’30. Nel 1934 debuttò con la nazionale dei Tre Leoni a Cardiff contro il Galles segnando subito il suo primo gol. Lo Stoke iniziò a volare e nel 1935 arrivò al quarto posto, miglior posizione di sempre nella sua storia ma le cose iniziarono a peggiorare. La squadra iniziò a essere gelosa di Stanley che era sempre l’unico convocato per l’Inghilterra e nel 1938, con i Potters in piena zona retrocessione, chiedette il trasferimento. La proposta sconvolse la società e soprattutto la piazza con tremila tifosi che organizzarono una manifestazione per chiedere a gran voce che Matthews rimanesse. Nonostante sapeva che questa sua decisione avrebbe limitato le sue vittorie fu commosso da tanto amore e decise di rimanere. L’anno seguente lo Stoke si allontanò dalla zona retrocessione ottenendo un ottimo settimo posto, ma quando a ventiquattro anni era pronto a spiccare il volo tra le leggende del calcio ecco che a interrompere tutto ci fu la tragica Seconda Guerra Mondiale che bloccò i campionati fino al 1946.
Non poté dunque disputare gli anni migliori della sua carriera e durante il conflitto bellico divenne sottoufficiale a Blackpool e in qualche torneo non ufficiale indossò anche la maglia della squadra di casa. Quando nella First Divison 1946-47 riprese il vero campionato ritornò a vestire la maglia dello Stoke City e per soli due punti non arrivò la vittoria del campionato dopo una spettacolare volata a quattro tra Potters, Liverpool, Manchester United e Wolverhampton. I rapporti con il tecnico McGrory però divennero sempre più complicati, in quanto l’allenatore cercava di puntare su nuovi elementi e così nel 1947 tornò al Blackpool. Con Joe Smith in panchina la musica cambiò radicalmente e il tecnico di Dudley diede carta bianca a Stanley che iniziò a incrementare una fantastica sintonia con il centravanti Stan Mortensen. Gli arancioni esprimevano un gran calcio ma la difesa lasciava parecchio a desiderare ma arrivarono fino alla finale di Fa Cup, ma a trionfare fu il Manchester United per 4-2. Matthews dimostrò come a trentatre anni sapeva essere ancora un giocatore sensazionale e a fine anno venne nominato miglior giocatore del campionato. Anche allora fu la prima volta che venne assegnato questo riconoscimento, un vero segno del destino.

Nel 1950 riuscì a disputare il suo primo Mondiale, ma il tecnico Winterbottom decise di lasciarlo fuori per le prime due partite evitandogli così la clamorosa sconfitta contro gli Stati Uniti. Debuttò nell’ultima giornata contro la Spagna, ma ormai non c’era più nulla da fare e il Mago se la prese pubblicamente contro la federazione definendoli una “brigata in giacca”. Intanto il Blackpool continuava a giocare bene ma a non ottenere titoli e nel 1951 ancora una volta perse la finale di Fa Cup contro il Newcastle. L’età avanzava sempre di più e gli infortuni iniziarono a creare non pochi problemi, ma l’apice doveva ancora arrivare. Nel 1953 arrivò la terza finale di Fa Cup e quando il Bolton si portò sul 3-1 la storia sembrò ripetersi ancora una volta. A salire in cattedra però ci furono i due campioni della squadra con Stanley che divenne inarrestabile e immarcabile e Mortensen che segnò una fantastica tripletta battendo un attonito Hanson. All’età di trentotto era ancora uno dei più grandi giocatori del mondo e la stampa ribattezzò quella partita come “La finale di Matthews“. Fu probabilmente il miglior momento della sua carriera e l’unico trofeo conquistato.
Un anno dopo disputò il suo secondo Mondiale giocando il decisivo quarto di finale contro l’Uruguay ma i campioni in carica erano troppo superiori e i quarti di finale risultarono fatali. Nonostante continuassero a passare gli anni il Mago non aveva intenzione di smettere e di incantare tanto che l’Arsenal provò a offrirgli un faraonico contratto che però venne rifiutato. Nella First Divison 1955-56 giocò ancora ad altissimi livelli disputando proprio contro i Gunners quella che lui stesso definì la miglior partita disputata in carriera. Il Manchester United era di una categoria superiore su tutte le altre squadre, ma trascinato dal suo campione il Balckpool chiuse al secondo posto e France Football decise che per far diventare leggendario questo riconoscimento serviva un primo immortale vincitore. Con quarantasette voti riuscì a soffiare il premio a Di Stéfano che arrivò secondo a quarantaquattro e a Kopa terzo a trentatre.
Quella stagione fu il canto del cigno per un Highlander del calcio ma la sua carriera non era ancora finita. Fino al 1961 giocò con i Tangerines e dopo una parentesi in Canada ai Toronto City, tornò al suo primo grande amore: lo Stoke City. Giocò fino al 1965 e quando compì cinquant’anni capì che era il caso di smettere e ritirarsi. Venne organizzata per lui una partita d’addio con in campo grandissimi dell’epoca e a fine partita venne portato in spalle in trionfo da due icone come Puskás e Jashin. Morì il 23 febbraio 2000, poco prima che la sua Inghilterra scendesse in campo contro l’Argentina. Fu un giorno triste per il calcio mondiale e britannico in generale che aveva così perso l’uomo che sembrava aver trovato l’elisir di eterna giovinezza.
Il Mago del dribbling, un uomo innamorato della giocata sull’avversario e dell’assist al compagno. Uno dei calciatori più longevi di sempre e senza dubbio quello che è rimasto ad alti livelli più a lungo tutti con il grande rammarico di essere stato fermato in quegli che avrebbero potuto essere i suoi anni migliori. Ma forse il mondo non se lo sarebbe goduto per così tanti anni, forse non avremmo visto un quarantunenne diventare il più grande d’Europa, forse non ci saremmo innamorati di Stanley Matthews.

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