Storia del Pallone d’oro: il ’60, Luis Suárez

Un regista di classe e qualità come poche volte si sono visti nella storia del calcio. Il lancio lungo era il suo marchio di fabbrica e la calma il mezzo con il quale poteva raggiungere vette inarrivabili. Luis Suárez fu il primo grande lanciatore della storia, capace di velocizzare l’azione facendo correre la palla ma in maniera mai banale. Un’icona degli anni ’50 e ’60 e probabilmente alla sua bacheca manca almeno un altro Pallone d’oro.
Nacque a La Coruña come il terzo e più piccolo figlio di un macellaio della zona e la passione per il calcio travolse tutta la famiglia. Anche gli altri due fratelli infatti scelsero la via del calciatore come professione, ma tutti si accorsero di come Luis fosse il migliore. A soli diciotto anni debuttò con la maglia del Deportivo in una sfida contro il Barcellona e, come lo stesso centrocampista ricorderà in futuro, fu un’ottima giornata perché la squadra perse solo 6-1 e nei primi anni ’50 era un risultato onorevole contro i blaugrana. A fine partita i catalani si erano però accorti di quel ragazzino talentuoso all’esordio e iniziarono a tenerlo d’occhio. Contro la Real Sociedad arrivò la sua prima rete tra i professionisti e chiuse la stagione 1953-54 in Liga con tre reti contribuendo così a una faticosa salvezza dei galiziani. Dalle parti del Camp Nou però avevano già visto abbastanza e festeggiarono la vittoria della Liga regalandosi il miglior talento del calcio iberico. Nel suo primo anno trovò al Barcellona l’italiano Franco Puppo come allenatore, ma tra i due non scattò mai la scintilla e Suárez giocò solo sei partite. Nulla di compromettente, considerando che il ragazzo doveva ancora compiere vent’anni e si trovava nella squadra campione di Spagna, ma probabilmente ci si poteva attendere un inserimento più veloce. Le cose cambiarono l’anno seguente con l’ungherese Platko che iniziò a farlo giocare con sempre maggior frequenza e il numero dieci iniziò a essere sempre spesso più indossato dal ragazzo di La Coruña. Inizialmente venne schierato in fase molto offensiva, da moderno trequartista, con il compito di servire gli attaccanti e inserirsi per poter finalizzare. Queste sue caratteristiche vennero ancora di più esaltate nella sua terza stagione e con Balmanya in panchina riuscì ad andare a segno per ben tredici volte e a conquistarsi la convocazione in nazionale spagnola in un’amichevole contro l’Olanda. Quelli però erano gli anni del leggendario Real Madrid di Di Stéfano e agli avversari venivano lasciate solo le briciole. Nel 1957 arrivò però il primo trofeo con il Barça che riuscì a conquistare la Copa del Rey nel derby contro l’Espanyol. In quell’anno segnò anche nella sciagurata trasferta di Glasgow contro la Scozia che causò la non qualificazione delle Furie Rosse al Mondiale. Un infortunio lo tenne fuori per quasi tutta l’annata 1957-58, ma alla fine riuscì a rientrare in tempo per alzare al cielo la prima Coppa delle Fiere della storia. Fu un torneo strano e particolare e in finale venne affrontata una rappresentativa di Londra e dopo il 2-2 in terra inglese, il Barcellona spazzò via i rivali con un netto 6-0 casalingo e i primi due centri furono proprio di Luisito.

La musica però stava cambiando e in Spagna il ciclo del Real Madrid si stava sgretolando, perché a Barcellona era arrivato il Mago Herrera. I Blancos restavano assoluti dominatori in Europa, ma per mantenere il loro straordinario ruolino di marcia in Europa furono costretti a cedere il passo in Liga. I catalani disputarono un’annata da sogno vincendo ben ventiquattro partite delle trenta disponibili, tra cui uno storico 4-0 nel Clásico, e tornarono a laurearsi campioni. A completare un’annata da sogno arrivò anche la doppietta con la Copa del Rey vinta ai danni del Granada e Suárez visse la sua stagione più prolifica di sempre. In campionato totalizzò quattordici centri e sommando tutte le competizioni toccò addirittura quota venti, un record assoluto per lui in carriera. La Spagna intanto era diventata una nazionale di prim’ordine e solo la decisione di Franco di non giocare contro l’Unione Sovietica portò all’eliminazione della Roja a un passo dall’Europeo del 1960. Il decennio però si aprì alla grandissima con un altro successo in Liga, questa volta a termine di un mozzafiatante testa a testa con il Real Madrid. Entrambe terminarono con quarantasei punti, ma con una differenza reti di +58 contro una di +56 fu il Barcellona a mantenere il titolo. Luis fu la stella assoluta della squadra e le sue tredici reti finali risultarono decisive. A completare la festa blaugrana c’era ancora la Coppa delle Fiere che nel 1960 venne alzata nuovamente al cielo dopo una doppia finale contro il Birmingham. A dicembre France Football rimase in dubbio fino all’ultimo su chi premiare, ma alla fine i cinquantaquattro voti del galiziano bastarono per superare i trentasette di Puskás e i trentatre di Seeler e così si laureò Pallone d’oro.

A consolidare questo suo straordinario successo ci fu l’ottavo di finale di Coppa dei Campioni 1960-61, dove il Barcellona fu la prima squadra di sempre a eliminare il Real Madrid dal trofeo. Suárez fu decisivo per potere rimontare e pareggiare la sfida dell’andata al Bernabéu dove segnò due reti, prima con una perfetta punizione all’angolino e poi nel finale con un rigore carico di tensione. Il 2-2 finale fu decisivo perché al Camp Nou i blaugrana ottennero il passaggio del turno grazie a un sofferto 2-1 e dopo aver eliminato i pentacampioni in carica nulla sembrava fermarli verso il successo. La squadra arrivò fino alla finale di Berna, ma contro il Benfica accadde l’incredibile. A termine di una partita disgraziata e sfortunata furono i lusitani a vincere per 3-2 nonostante i ragazzi di Orizaola avessero prodotto moltissime occasioni. Il 31 maggio il Barça aveva perso la sua grande occasione per laurearsi campione d’Europa e quella fu anche l’ultima apparizione di Suárez.
In estate il suo ex allenatore Helenio Herrera lo convinse facendogli accettare l’offerta dell’Inter e ai blaugrana andò l’incredibile cifra di trecento milioni di lire. Un’offerta davvero irrinunciabile e che quindi fece arrivare a Milano il tanto atteso uomo d’ordine. Nella sua prima annata nerazzurra Luisito mantenne il suo modo di giocare da classico numero dieci e quindi anche il numero di gol fu più che rispettabile. Le undici reti di fine anno resero la prima annata la sua più prolifica in Serie A, ma la Beneamata non riuscì ancora a vincere. Provò a smaltire la delusione volando in Cile per il Mondiale, ma l’esperienza fu disastrosa. Il galiziano giocò solo le prime due partite contro Cecoslovacchia e Messico prima di venire accantonato nella decisiva sfida col Brasile. Il commissario tecnico della Roja era ancora proprio Helenio Herrera che durante il torneo per nazioni si rese conto come Suárez avesse bisogno di essere arretrato per sfruttare al massimo le sue doti nel passaggio. Mantenne sempre il numero dieci sulle spalle, ma si trasformò quasi in un libero avanzato in grado di giocare a tutto campo per poter sfruttare al meglio la sua immensa visione di gioco. Il cambio di posizione fu un tocca sana per Luis e per la squadra che nel 1963 si laureò campione d’Italia. Lo spagnolo era stata l’arma vincente dei nerazzurri per classe e carisma e stava nascendo il mito della Grande Inter. L’anno successivo i nerazzurri non rivinsero lo Scudetto solo dopo lo spareggio di Roma con il Bologna ma riuscirono per la prima volta a vincere la Coppa dei Campioni. Fu un percorso entusiasmante dove vennero eliminati tutti i campioni dei maggiori campionati, dall’Everton al Monaco fino al Borussia Dortmund, prima di arrivare in finale contro il Real Madrid. A Vienna la giovane squadra lombarda era intimorita dai grandi campioni che si trovava dinnanzi e fu proprio Suárez a svegliare e a caricare i compagni. Tre anni dopo la disfatta di Berna si prese la sua grande rivincita e grazie alle reti di Mazzola e Milani l’Inter sconfisse i Blancos per 3-1. Fu una soddisfazione enorme laurearsi campione d’Europa proprio contro il tanto odiato Real, ma pochi mesi dopo avrebbe festeggiato insieme a molti di loro. In quell’estate infatti si giocò l’Europeo casalingo e la Spagna era la grande favorita per la vittoria finale. In semifinale l’Ungheria si rivelò avversario ostico e difficile da piegare, tanto che la rete della vittoria di Amancio arrivò solo ai supplementari, e il 21 giugno al Bernabéu ci sarebbe stato l’ultimo atto contro i campioni in carica dell’Unione Sovietica. Il Caudillo Francisco Franco era terrorizzato dall’idea che i russi potessero festeggiare nella sua Capitale, ma guidati da un incantevole Suárez le Furie Rosse trovarono un altro 2-1 e per il ragazzo di La Coruña arrivò anche il titolo europeo per nazioni. Madrid fu ancora dolce poco dopo perché fu proprio in casa del Real che si giocò lo spareggio per la Coppa Intercontinentale contro l’Independiente e una rete di Corso elevò l’Inter a campione del mondo. Luis sembrava dover vincere a mani basse il suo secondo Pallone d’oro, invece la giuria decise di premiare lo scozzese Law, relegandolo alla piazza d’onore.

Nè Suárez e nè i nerazzurri avevano la benché minima intenzione di fermarsi e così nel 1965 nulla potè fermare l’invincibile armata del Mago. Arrivò la doppietta Serie A/Coppa dei Campioni e Luisito si tolse un altro sassolino dalla scarpa. L’ultimo atto venne giocato in una Milano completamente bagnata e in un San Siro ai limiti della praticabilità, ma una rete di Jair permise di battere proprio quel Benfica che fu fatale nel 1961. In quell’annata riuscì anche a segnare l’ottima cifra di otto reti, ma ormai il suo rapporto con la porta si era fatto sempre più raro. Nel 1966 vinse il suo terzo Scudetto meneghino e riprovò l’avventura Mondiale con la Spagna, ma anche in Inghilterra fu un buco nell’acqua. Il 1967 avrebbe dovuto essere un altro anno trionfale con l’Inter dominante sia in campionato che in Coppa, ma nel mese di maggio la squadra arrivò con il fiato corto e con il suo numero dieci infortunato. Nella finale europea di Lisbona contro il Celtic Suárez venne sostituito dal volenteroso Mauro Bicili, ma non era la stessa cosa e furono gli scozzesi ad alzare al cielo il trofeo. Non solo in Europa, ma una sconfitta all’ultima giornata contro il Mantova decretò la Juventus campione d’Italia e la fine del ciclo di una delle più grandi squadre mai viste nel Belpaese. Iniziarono annate dure e anonime per l’Inter e per Suárez che nel 1970, a seguito di dissapori con il nuovo tecnico Heriberto Herrera, lasciò Milano per andare alla Sampdoria. Fu strano vedere un simile campione dover lottare per la salvezza, ma si gettò a capofitto anche nel progetto blucerchiato e per tre anni riuscì a dare un prezioso contributo alla squadra che mantenne sempre la categoria. Il 29 aprile 1973 al Dall’Ara di Bologna giocò la sua ultima partita con i genovesi e a trentotto anni lasciò il calcio.
Classe ed eleganza, visione di gioco e senso della posizione, calma e carisma. Non è semplice trovare tutte queste qualità in un unico giocatore, ma non tutti possono essere Luis Suárez.

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