Il pareggio di Bologna è un fallimento. La corsa Champions è apertissima e senza un cambio di passo nelle ultime giornate, questa potrebbe diventare una delle stagioni più umilianti della nostra storia recente
A Bologna doveva finire la sofferenza. Invece è finita come troppo spesso accade con questa Juventus: tra rimpianti, palleggi sterili e il solito bicchiere mezzo vuoto.
Il pareggio contro la squadra di Italiano è un’occasione buttata, e io non ho più voglia di sentire discorsi consolatori.
Non si va a Bologna, in una gara da dentro o fuori, per uscire con un punto che non serve a nulla.
Non in questa fase. Non con Roma e Lazio che spingono come non mai. Non con una stagione già piena di fallimenti che ci ha ridotto all’osso.
E allora basta scuse.
La Juventus che ha pareggiato a Bologna è una squadra che non sa imporsi, che non sa chiudere i conti, che non ha più sangue negli occhi.
E il problema non è solo tecnico. È mentale. È culturale.
Una settimana fa sembrava quasi fatta. Ora no. Ora ci ritroviamo a guardare indietro, con Roma e Lazio che ci respirano sul collo. E la differenza è che loro hanno fame. Hanno corsa, entusiasmo, obiettivi ancora vivi.
Noi, invece, sembriamo prigionieri di noi stessi. Legati mani e piedi a un’idea di gioco che non funziona, a giocatori che si trascinano, a una società che non si è ancora ripresa dal colpo Motta.
La verità è che la Juventus non ha più margine di errore.
E il problema è che sembra non avere neanche più la faccia di chi lo capisce.
Tudor ha provato a sistemare le cose, ma io non credo più nei rattoppi. Non si raddrizza una casa che scricchiola col nastro adesivo.
Ci vuole cemento. E noi, oggi, siamo ancora fermi alla bozza.
Provo a essere lucido. Ma è difficile.
Perché se questa squadra chiude il campionato fuori dalla Champions, sarà un disastro su tutti i fronti.
Tecnico. Economico. Di immagine.
E io, che ho vissuto gli anni peggiori e quelli più gloriosi, ti dico che una Juve fuori dalla Champions per due anni consecutivi è qualcosa che non possiamo nemmeno considerare.
Significa tagli. Significa ridimensionamento. Significa perdere giocatori, credibilità, sponsor. Significa tornare indietro di dieci anni.
E a quel punto davvero non ci sarà più nulla da difendere.
Mi piacerebbe parlare di progettualità. Di futuro. Di ripartenze.
Ma a questo punto, non è più tempo di parole.
O si vincono le ultime partite. O si affonda.
Il margine si è azzerato.
Chi non capisce cosa c’è in palio, sabato prossimo è meglio che resti a casa.
Non servono fenomeni. Servono undici uomini con una sola idea in testa: salvare quello che resta.
Perché questa, senza la Champions, diventa una delle stagioni più fallimentari della storia recente della Juventus.
E io, questo scempio, non ho intenzione di accettarlo.
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