Il Brasile non ha ancora finito

Da São Paulo l’avvertimento è arrivato in tutto il mondo. Non solo le conterranee sudamericane, ma anche le big europee sono state avvertite: il Brasile non ha ancora finito. Non che sia una goleada alla Bolivia a lanciare particolari segnali, visto il divario tecnico decisamente ampio, ma la mentalità con cui questa squadra ha messo nel mirino il prossimo Mondiale. Impossibile accontentarsi, soprattutto se si parla della nazionale con il miglior palmarès al mondo.

La Copa América del 2019 vinta in casa non può essere l’unico traguardo di questa generazione, quella del rilancio, del ritorno a grandissimi livelli dopo le brutte figure arrivate tra il 2010 e il 2016. E allora la direzione tracciata è quella che porta in Qatar, per il secondo Mondiale asiatico della storia, 18 anni dopo il primo, che poi è anche l’ultimo vinto dal Brasile, quello in Corea e Giappone del 2002. Probabilmente la squadra non ha la forza di allora, di quella nazionale che con Scolari aveva un divario larghissimo rispetto alla concorrenza, ma l’attuale blocco è credibile in tutto e per tutto per guardare avanti di due anni con ottimismo.

Il percorso non poteva cominciare meglio, con una goleada di 5 gol a una Bolivia che a oggi non può neanche stare nello stesso campo della Seleção. Una squadra che vince, non si ferma, che ha voglia di dimostrare, con i veterani e con i nuovi volti. Piaccia o non piaccia è ancora la nazionale di Neymar, più leader rispetto al 2014, forse più forte anche delle versioni di Barcellona: oggi Ney è un giocatore ai vertici del calcio mondiale, probabilmente quello più in salute tra i fenomeni d fantasia. Non è più solo talento, ma anche leadership e voglia di prendersi le responsabilità più importanti: ha dominato la partita, ha tagliato con incredibile efficacia verso il centro del campo partendo da sinistra, con la difesa avversaria che non è praticamente mai riuscita a tenerlo.

Ma questo Brasile non è quello del 2014, è molto più forte e meno dipendente da lui, tanto che nonostante la prova non è servito neanche che entrasse nel tabellino dei marcatori. Perché nel blocco a disposizione di Tite c’è a disposizione talento in abbondanza tra chi deve mettersi in mostra e chi si vuole rilanciare: ad esempio Coutinho, rivitalizzato dalla sua nuova cura fisica e finalmente all’altezza delle prestazioni viste a Liverpool; oppure Firmino, che sa di essere l’unica soluzione per risolvere il problema della mancanza di un vero numero 9 che è forse l’unica pecca di questa generazione.

Ma è una nazionale che sa rinnovarsi e non essere mai prevedibile: Éverton Soares è stato confermato titolare dopo la splendida Copa América e il trasferimento al Benfica; Douglas Luiz è stato inserito gradualmente in questa nazionale per arrivare con maggiore esperienza alle partite che conteranno davvero; Felipe a 31 anni ha fatto il suo esordio, per dare una valida alternativa qualora Thiago Silva non dovesse arrivare fino in Qatar. Il sistema Tite funziona, il cammino degli ultimi anni lo dimostra a pieno, ma il Brasile non sa accontentarsi. Non nel calcio. E per questo sa che il cammino che porta al prossimo Mondiale è una tappa fondamentale per la storia di questa gloriosa nazionale, che dopo il successo della Copa 2019 non ha assolutamente ancora finito.

 

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