
Auckland City Immagine | Ansa
Il cammino dell’Auckland City nel Mondiale per Club non è stato esattamente indimenticabile: 10-0 contro il Bayern Monaco e poi un 6-0 contro il Benfica. Sedici gol subiti, zero segnati e l’etichetta di squadra materasso, ma non importa. Il club neozelandese non sembra aver accusato il colpo fuori dal terreno di gioco: è qui in missione. Divulgare il calcio.
Auckland, al Mondiale per ispirare l’Australia
L’Auckland City partecipa al Mondiale per Club con la consapevolezza di essere negli USA quasi come “intrusa”, ma anche e soprattutto per qualcosa che va oltre i risultati: ispirare le nuove generazioni del Paese e del continente e rappresentare il calcio dell’Oceania nel miglior modo possibile. Ovviamente è complicato collezionare e accettare sconfitte come quelle maturate contro Bayern e Benfica, ma anche subire ko con un passivo così largo è un percorso necessario. Del resto perdere fa parte del gioco e in questo caso è considerato quasi un prezzo da pagare, accettato con filosofia: ovvero la possibilità di imparare tanto e di far conoscere il calcio dove la palla è più riconosciuta come ovale.
La storia di Gerardo Garriga
La storia di Gerardo Garriga forse è quella che incarna il senso del sogno di partecipare: quando aveva 19 anni giocava nella quinta divisione spagnola . “Non avrei mai immaginato di poter rappresentare un club dell’Oceania in un torneo come questo. Per noi ogni singola partita è un’opportunità di crescita. Siamo molto felici di essere qui, vogliamo far conoscere il nostro calcio e imparare. Sappiamo che qui ci sono i migliori club del mondo e ad ogni incontro ci aspetta una squadra molto difficile da affrontare. Proveremo sempre a ben figurare. Da queste due partite abbiamo imparato tanto: anche solo cinque minuti contro avversari di questo calibro tecnico e tattico ti insegnano già moltissimo”.
Allenatore, giocatore e insegnante
Garriga è più di un calciatore. È allenatore e insegnante. Nella quotidianità è un membro dell’Academy del club, dedicandosi al percorso di crescita dei ragazzi di 11 anni, sotto tutti i punti di vista. Aiuta anche chi non può permettersi di giocare a calcio e lavora anche come formatore. “La più grande sfida è mettere insieme persone provenienti da culture diverse. Cerchiamo di promuovere il gioco del calcio, perché sappiamo cosa significa per noi. Sono felice della mia vita in Nuova Zelanda. Credo che per il Paese sia fantastico avere un club che sia qui a rappresentarla. I miei ragazzi mi stanno inondando di messaggi perché gioco contro i loro idoli. Ecco perché possiamo un esser per loro, una sorta di esempio da emulare”.