
Andrea Abodi e Gabriele Gravina Immagine | Ansa
Andrea Abodi, stoccata a Gabriele Gravina. Il ministro dello sport, con garbo e rispetto dei ruoli, manda un messaggio forte e chiaro al Presidente della Federcalcio. Nessuna invasione di campo, rispetto dei ruoli, ma parole anche abbastanza forti che invitano il numero del calcio italiano a una profonda riflessione sull’operato degli ultimi mesi. La gestione dell’esonero di Spalletti e il “casting” per il suo successore, con annesse polemiche al riguardo, non sono evidentemente piaciute in dicastero.
Abodi, Gravina e il senso di responsabilità
Il ministro dello sport a margine di un evento a Roma, non ha lasciato molto spazio alle interpretazioni. “Non entro nel merito di scelte tecniche che competono al presidente federale, ma la gestione dell’esonero di Spalletti mi ha lasciato perplesso. Probabilmente le riflessioni andavano fatte dopo gli europei quando gi è stata confermata la fiducia. Credo che un Presidente eletto con il 98% delle preferenze, dunque avendo il consenso di tutte le componenti, abbia il dovere di mettere tutti di fronte alla possibilità di uscire da una condizione di sistema che non dipende solo dall’allenatore.
Bisogna dare centralità alla maglia azzurra e tornare a darle un senso, nel rispetto di decine di milioni di tifosi che hanno il diritto di vedere una squadra che rappresenti il paese con orgoglio e atteggiamento diverso da quello visto nelle ultime partite che non sono state un incidente di percorso. Non voglio essere invadente ma c’è un sistema che deve mettersi in discussione e capire come presentarsi all’opinione pubblica”.
Federcalcio, avanti con l’improvvisazione
Con l’eleganza e fermezza, il ministro dello Sport ha inchiodato la Federcalcio di fronte alle proprie responsabilità e centrato il cuore del problema: negli ultimi mesi, anche anni, la gestione appare perlomeno (eufemismo) improvvisata. Sollevare un commissario tecnico confermato a denti stretti dopo un Europeo fallimentare e non essere in grado di avere già il sostituto è una situazione che evidenzia più la ricerca del consenso rispetto alla programmazione.
Del resto chiamare Claudio Ranieri, fra l’altro con la convinzione o presunzione che avrebbe accettato, non significa puntare su un progetto a lungo termine, ma salvare il salvabile in attesa di tempi migliori, che con queste premesse, però, difficilmente arriveranno. Anche perché anche il piano C è sull’onda della scelta populista più che tecnica: sulla panchina, dopo il no del tecnico più amato in Italia, siederà uno dei campioni del mondo del 2006. Sperando che il dio del pallone ce la mandi buona.